giovedì 2 febbraio 2012

In materia di naufragi e capitani


Ho rivalutato in gran parte Cuore, non tanto per gli argomenti trattati perché parlare di sentimento nazionale, di valori famigliari e quant'altro è fuori moda, non tanto per la retorica a volte imbarazzante delle lettere dei genitori di Enrico Bottini, al fatto che il personaggio più interessante, Franti, nella maggior parte dei casi viene solo descritto, agisce poco, quanto invece allo stile di De Amicis, diretto ed efficace. Avevo detto che non avrei consigliato questo libro da leggere a un bambino, forse è vero che ci sono romanzi per ragazzi che spiegano meglio ogni cosa (negli ultimi anni questi romanzi hanno affrontato ogni tipo di problematica: multiculturalità, famiglie allargate, omosessualità, dipendenze da droga, abusi in famiglia, ecc.) ma Cuore va letto proprio perché De Amicis è stato un grande scrittore e i valori di fondi sono (comunque) apprezzabili.
Così come è apprezzabile il coraggio di questo capitano. La questione della Costa Concordia ci ha un po' imbarazzato perché, in fondo, il popolo italiano crede molto nei "gradi" e nelle gerarchie, e se qualcuno è "capitano" di qualcosa diamo per scontato che sia il miglior capitano possibile. Non è così, è chiaro. De Amicis ci mostra ciò che doveva succedere, quello che Schettino avrebbe dovuto fare.
Fatelo leggere ai vostri bambini.

Tratto da "Naufragio". Ultimo racconto mensile del libro Cuore.

Il marinaio aveva predetto giusto. Non erano ancora addormentati, che si scatenò una tempesta spaventosa. Fu come un assalto improvviso di cavalloni furiosi che in pochi momenti spezzarono un albero, e portaron via come foglie tre delle barche sospese alle gru e quattro bovi ch'erano a prua. Nell'interno del bastimento nacque una confusione e uno spavento, un rovinìo, un frastuono di grida, di pianti e di preghiere, da far rizzare i capelli. La tempesta andò crescendo di furia tutta la notte. Allo spuntar del giorno crebbe ancora. Le onde formidabili, flagellando il piroscafo per traverso, irrompevano sopra coperta, e sfracellavano, spazzavano, travolgevano nel mare ogni cosa. La piattaforma che copriva la macchina fu sfondata, e l'acqua precipitò dentro con un fracasso terribile, i fuochi si spensero, i macchinisti fuggirono; grossi rigagnoli impetuosi penetrarono da ogni parte. Una voce tonante gridò: - Alle pompe! - Era la voce del capitano. I marinai si slanciarono alle pompe. Ma un colpo di mare subitaneo, percotendo il bastimento per di dietro, sfasciò parapetti e portelli, e cacciò dentro un torrente.
Tutti i passeggieri, più morti che vivi, s'erano rifugiati nella sala grande.
A un certo punto comparve il capitano.
- Capitano! Capitano! - gridarono tutti insieme. - Che si fa? Come stiamo? C'è speranza? Ci salvi!
Il capitano aspettò che tutti tacessero, e disse freddamente: - Rassegniamoci.
Una sola donna gettò un grido: - Pietà! - Nessun altro poté metter fuori la voce. Il terrore li aveva agghiacciati tutti. Molto tempo passò così, in un silenzio di sepolcro. Tutti si guardavano, coi visi bianchi. Il mare infuriava sempre, orrendo. Il bastimento rullava pesantemente. A un dato momento il capitano tentò di lanciare in mare una barca di salvamento: cinque marinai v'entrarono, la barca calò; ma l'onda la travolse, e due dei marinai s'annegarono, fra i quali l'italiano: gli altri a stento riuscirono a riafferrarsi alle corde e a risalire.
Dopo questo i marinai medesimi perdettero ogni coraggio. Due ore dopo, il bastimento era già immerso nell'acqua fino all'altezza dei parasartie.
Uno spettacolo tremendo si presentava intanto sopra coperta. Le madri si stringevano disperatamente al seno i figliuoli, gli amici si abbracciavano e si dicevano addio: alcuni scendevan sotto nelle cabine, per morire senza vedere il mare. Un viaggiatore si tirò un colpo di pistola al capo, e stramazzò bocconi sulla scala del dormitorio, dove spirò. Molti s'avvinghiavano freneticamente gli uni agli altri, delle donne si scontorcevano in convulsioni orrende.
Parecchi stavano inginocchiati intorno al prete. S'udiva un coro di singhiozzi, di lamenti infantili, di voci acute e strane, e si vedevan qua e là delle persone immobili come statue, istupidite, con gli occhi dilatati e senza sguardo, delle facce di cadaveri e di pazzi. I due ragazzi, Mario e Giulietta, avviticchiati a un albero del bastimento, guardavano il mare con gli occhi fissi, come insensati.
Il mare s'era quetato un poco; ma il bastimento continuava a affondare, lentamente. Non rimanevan più che pochi minuti.
- La scialuppa a mare! - gridò il capitano.
Una scialuppa, l'ultima che restava, fu gettata all'acqua, e quattordici marinai, con tre passeggieri, vi scesero.
Il capitano rimase a bordo.
- Discenda con noi! - gridarono di sotto.
- Io debbo morire al mio posto, - rispose il capitano.
- Incontreremo un bastimento, - gli gridarono i marinai, - ci salveremo.
Discenda. Lei è perduto.
- Io rimango.

1 commento:

Ariano Geta ha detto...

Altri tempi, altri valori. Durante la prima guerra mondiale gli alti comandi dovettero mandare una direttiva per vietare agli ufficiali di osservare gli schieramenti nemici sul fronte più avanzato perché troppi capitani e colonnelli erano stati uccici dai cecchini austriaci (ovviamente gli ufficiali si mettevano col binocolo in prima linea perché sapevano che i loro fanti ci stavano tutti i giorni, e prendevano per primi i colpi dei cecchini nemici, quindi come potevano chiedere ai loro sottoposti di rischiare la vita senza prima dare il buon esempio in prima persona?)
P.S.: ti volevo coinvolgere in un post virale, il versatile blogger, ma ho visto che ti ha già nominato Daniela di Inchiostro Bianco, peraltro insieme a me:
http://www.inchiostrobianco.com/2012/01/grazie-di-cuore-alle-mie-due-colleghe.html