domenica 31 luglio 2011

Niente più sconti

Dopo tante polemiche e discussioni la famosa, o famigerata, legge che regola gli sconti è stata alla fine approvata dal senato.
La legge, cosa strana in questo periodo, è stata portata avanti bipartizan, cioè da entrambi gli schieramenti del nostro parlamento. A scriverla infatti è stato un esponente del PD, Riccardo Levi ed è stata promossa da Franco Asciutti del PDL.
Ancora non si capisce bene cosa succederà nel momento in cui la legge entrerà effettivamente in vigore. A favore c'è il presidente dell'AIE (Associazione Italiana Editori), contrarie invece molte associazione di consumatori che, giustamente, ritengono questa limitazione sugli sconti (che non devono superare il 20%) un grave svantaggio proprio per chi questi libri li compra: ovvero noi lettori.
In un mondo ideale adesso dovrebbe succedere una cosa molto semplice: i prezzi, pompati al massimo da alcune case editrici in prospettiva poi di scontarli di un 20% o del 33% (come su BOL), dovrebbero abbassarsi. In realtà non penso che questo succederà mai e i libri, che stanno arrivando a prezzi a dir poco assurdi, diventeranno sempre di più inaccessibili, prodotti da regalare una o due volte l'anno.
Inoltre la legge sugli sconti comprende la vendita alle biblioteche. Da quel che so le biblioteche hanno dei fornitori che propongono i loro cataloghi scontati del 30% e con questa legge non sarà più possibile. Le biblioteche, che sono un'istituzione fondamentale per la diffusione gratuita del sapere, pagheranno di più i libri e questo, unitamente agli scarsi finanziamenti che ricevono dalla pubblica amministrazione, comporterà un sempre peggior servizio agli utenti: meno libri acquistati. Meno libri acquistati comporta ovviamente che molti utenti che richiederanno il best seller del momento dovranno servirsi altrove: ovvero in libreria. Alle case editrici questo va bene, ma se pensiamo che quell'utente potrebbe essere precario o addirittura disoccupato ecco che nasce il problema della diffusione del sapere, cosa che forse non tutti vogliono e che non dobbiamo dare per scontata.
Per quanto mi riguarda basta questo per pensare che la legge non sia giusta, che poi venga definita una legge Anti-Amazon non mi importa granché, non mi metto certo a piangere se qualche multinazionale ha difficoltà a entrare in un mercato.

giovedì 28 luglio 2011

Due libri comprati

Ancora mi chiedo perché ogni volta che compro un libro per bambini i commessi danno per scontato che sia un regalo. Ne ho comprati due, con parecchio sconto (era una libreria indipendente però). Sono: Il libro della parolacce di Roberto Piumini (ed. I Girini Bompiani) con le illustrazioni di Claudia Venturini, libro che dopo essere stato ristampato dalla Fabbri è tutt'ora fuori catalogo; questo libriccino è un interessante sperimentazione poetica con parecchie parolacce proposte ovviamente in maniera ironica tipo Irina Cacca, Martino Piscione e così via. Delle filastrocche di Piumini mi piacciono molto le assonanze tipo: "Bel nome grullo, frullo d'uccello, grano di luglio, foglia di miglio".
Il secondo libro comprato, e che inizierò a leggere non appena finisco il fin troppo lungo I segreti di Nicholas Flamel: l'incantatrice, è Re Mida ha le orecchie d'asino di Bianca Pitzorno. Fino ad oggi di lei mi è piaciuto tutto. E' brava, la migliore scrittrice per ragazzi che abbiamo in Italia. Entrambi questi libri sono in una vecchia edizione, migliori rispetto a come vengono proposte adesso (la copertina della Pitzorno non è quella allegata) e questo significa che le piccole librerie possono trovare un loro mercato proprio in questo modo: proponendo libri usati, vecchie edizioni e libri che le grandi distribuzioni non metterebbero mai in vetrina. Poi chi si lamenta del mercato e mette in bella vista la sagoma di Twilight... peggio per lui.

lunedì 25 luglio 2011

FascistHobbiton 2011?

Tra gli eventi che mi hanno segnalato su facebook ce n'è uno che di primo acchito mi sembrava interessante e parecchio nerd.
Si tratta di Hobbiton 2011, una festa ispirata a Il signore degli anelli che si svolgerà a Palombara Sabina, neanche troppo distante da casa mia. Questo è il testo dell'evento:

La stupenda collaborazione nata tra la FESTA DELLA CONTEA, l'associazione "La Rosa dei Nirb" e la SOCIETA' TOLKIENIANA ITALIANA, ci ha permesso quest'anno di portare nel Lazio la più grossa manifestazione Tolkieniana Italiana: HOBBITON !!!

Il tutto si svolgerà il 2-3-4 Settembre a Palombara Sabina, in provincia di Roma, nelle sale e nei cortili del favoloso Castello Savelli, nonchè nelle strade che ad esso portano.
Altri particolari ed informazioni verranno inviate in queste settimane, ma vi ricordiamo di seguire sempre il sito della STI ed il forum ( www.tolkien.it ) ed a breve 
anche su FB, tutte le notizie che verranno inserite.

Un ringraziamento particolare al Comune di Palombara Sabina, alla Regione Lazio ed al Ministero della Gioventù per il patrocinio dato all'evento.

Fin qui tutto bene. Poi vado a vedere chi ha aperto l'evento, navigo un po' nei loro profili, pubblici a quanto pare, e mi accorgo di alcune strane cose. Su facebook vale la regola: dimmi in che gruppi stai e ti dirò chi sei, tant'è che gli algoritmi che regolano la visualizzazione delle pubblicità tengono conto dei tuoi interessi. E non sbagliano. Questi organizzatori (parlo sempre dell'evento su FB che ha già più di 620 partecipanti, almeno virtuali) hanno interessi molto particolari. Uno di essi è iscritto al gruppo dedicato a ZeroZeroAlfa, una band di chiara ispirazione fascista. E' iscritto anche a gruppi di Azione Giovane, Le più belle frasi della musica alternativa fascista (!), RadioBandieraNera e cose di questo genere, del tutto inequivocabili.
Allora, nonostante il mio interesse per l'evento, nonostante l'impegno di molti intellettuali come i Wu Ming che da anni stanno cercando di far capire che Tolkien non è uno scrittore di destra e soprattutto non è uno scrittore fascista, se vado a questo raduno cosa mi devo aspettare... una chinghiamattanza tra hobbit?

venerdì 22 luglio 2011

Metò, in lettura

Sto leggendo Méto e questo sarà sicuramente un altro libro di cui parlerò e che inserirò in un percorso di lettura dedicato alla fantascienza per ragazzi, insieme alla saga di Lois Lowry e altri che segnalerò in futuro dopo una accurata lettura o ri-lettura.
L'idea nasce, oltre al fatto di aver scoperto dei bellissimi libri come questo in oggetto, anche per rispondere alla domanda: esiste una fantascienza per ragazzi? La risposta, a mio parere, è sì. E' difficile stabilire in maniera netta il confine tra un genere e l'altro, lo stesso The Giver ha elementi fantasy molto forti (o forse dovrei dire urban fantasy?), ma parto dal mio "personale" presupposto che il genere distopico sia molto più vicino alla fantascienza che al fantasy (in cui anche un solo elemento che vìola una legge fisica potrebbe essere interpretato come segno di "realtà distopica"), anche se non lo definirei un sottogenere ma un vero e proprio macrogenere che raccoglie in sé tanta letteratura che in maniera più o meno simbolica descrive i turbamenti di una società, le sue paure inconsce e collettive. Il controllo delle informazioni è una realtà che non fa più parte della distopia ma della nostra storia contemporanea: è per questo che adesso, anche se rappresentato in maniera iperbolica e perturbante,  il messaggio di Orwell è estremamente attuale.

Cito dal libro Méto una frase di Goffredo Fofi: "I giovani lettori si rifiutano di chiamare questo genere fantascienza, forse per diffidenza dei miti e dei gusti dei loro padri, ma di questo si tratta. I punti di partenza di questa nuova letteratura sono, confessati o inconfessati, scrittori universalmente riconosciuti come George Orwell (1984), Evgenij Zamjatin (Noi) e Aldous Huxley (Il mondo nuovo) ma anche i loro seguaci più recenti Philip K. Dick, Kurt Vonnegut, James J. Ballard".

E non solo questi, aggiungerei io, anche se gli ultimi nomi lasciano intendere che il postmodernismo ha usato molto la distopia.

Sinossi:
Su un'isola deserta, in una grande Casa, 64 ragazzi vivono isolati dal resto del mondo: divisi in gruppi, ciascuno con un colore diverso, devono obbedire agli ordini dei Cesari, che li sorvegliano a vista, li puniscono quando non osservano le regole e soprattutto vietano loro di fare domande. La loro paura più grande è crescere troppo, ed essere portati via dalla Casa. Ma verso quale destinazione? Méto è un Rosso, uno dei più grandi. Non ha nulla da perdere, anzi è disposto a tutto pur di conoscere la verità: dove si trovano lui e i suoi compagni? Perché non ricordano nulla della vita prima della Casa? Quale futuro li attende? È venuto il momento di ribellarsi, e niente sarà più come prima

Méto. La casa
di Yves Grevet
Sonda Edizioni



martedì 19 luglio 2011

Tom Sawyer tra le letture, si fa per dire

Non ho mai nascosto il fatto che Le avventure di Tom Sawyer fosse il mio libro preferito. Credo che sia il romanzo per ragazzi che ho letto più volte in vita mia.
A farmi innamorare della sua storia è stato l'anime prodotto dalla Nippon Animation che fa parte del famoso World Masterpiece Theater di cui vi parlo ogni tanto, e non a caso. Come ho accennato nella mia intervista a Fabio Bartoli credo di poter ritenere che la nostra generazione sia stata maggiormente influenzata dalla televisione per ragazzi piuttosto che dai libri. E' evidente che in quasi tutti noi il ricordo di un classico per l'infanzia, Tom Sawyer, Remì, Heidi, Pollyanna, Anna dai capelli rossi, La piccola principessa, ecc. è legato prima di tutto al cartone animato, poi al libro.
Fortunatamente il WMT ha fatto un buon lavoro e quasi tutte le trasposizioni animate degli anni '80 sono fedeli alle opere originali, ovviamente con gli opportuni allungamenti dato che, per scelta, ognuna di quelle serie durava circa 50 episodi che andavano in onda una volta a settimana. Un anime quindi doveva impegnare il bambino per un anno intero. Tom Story è fedelissimo al libro e i riempitivi non snaturano l'essenza della storia e dei personaggi.

Tom Story ha segnato la mia infanzia come forse nient'altro. Da allora, ogni estate, cammino a piedi scalzi da giugno fino a settembre (abito in campagna); da piccolo costruivo case sugli alberi come Huck, se avessi un albero adatto lo farei anche adesso, e ancora oggi invidio ai due amici la possibilità di poter andare a pescare pesci gatto e arrostirli su un fuoco acceso lungo la riva del Mississipi.
Guardare i "cartoni animati" è un buon surrogato del libro, per vari motivi: si viene a conoscenza della storia, che nel caso dei romanzi scelti dal WMT ha sempre una buona struttura a differenza di altri tipi di anime che in molti casi sono episodici (come gli anime robotici) e, col senno del poi, anche molto ripetitivi; si viene a conoscenza di personaggi straordinari proprio come Tom, Anna o Il piccolo principe; si affrontano temi come il bullismo (perché il rapporto tra Lavinia e e Sara (Lovely Sara) non è altro che bullismo scolastico); si entra in contatto con un modo di narrare di ampio respiro, cosa che con i cartoni animati precedenti alla prima ondata di anime in Italia non era usuale.
Quindi vedere un buon anime è un modo di fruire la "storia" in maniera differente e non peggiore. Certo, nel caso di Tom Sawyer si perdono alcune sfumature della grande vena satirica di Mark Twain, ma anche quella, a suo modo, è stata ampiamente trasposta.

Esiste un terzo modo per rendere proprie queste storie. Quindi se due anni fa ho riletto per l'ennesima volta il romanzo e l'anno scorso ho rivisto tutti i quarantanove episodi della serie animata, quest'anno ho deciso di ascoltare l'audiolibro prodotto da Il Narratore Audiolibri.
Ne ho già parlato e lo farò ancora in futuro perché ritengo gli audiolibri una risorsa importante, una maniera nuova, moderna e importante di fruire la cultura. L'audiolibro ha il pregio di poter essere ascoltato ovunque e con poche risorse (basta un lettore mp3 in molti casi).
La qualità audio e la confezione de Le avventure di Tom Sawyer sono ottime. La lettura, affidata a Eleonora Calamita, dimostra come siano importanti le doti recitative di chi decide di affidare la propria voce a un romanzo. Particolarmente adatta a interpretare le voci dei bambini, l'attrice riesce a caratterizzare ogni personaggio con estrema naturalezza, tanto da renderli riconoscibili immediatamente.
Consiglio quindi di provare questo audiolibro, disponibile in download sul sito ufficiale della casa editrice. Una volta scaricati sarà sufficiente trasferirli su un lettore o masterizzarli su un cd.

Dal loro sito:
Uno dei capolavori della letteratura americana, che riesce a coniugare il gusto per l'avventura a un'esilarante (e nostalgica) vena umoristica. Il giovane 'monello' Tom Sawyer è orfano e vive con la vecchia Zia Polly e i due fratellastri Sid e Mary in un villaggio della provincia americana alla fine del diciannovesimo secolo. Gli piace nuotare, cercare tesori nascosti, rubare la marmellata, torturare il gatto, fare a pugni coi bambini e corteggiare le bambine, affrontare paurose scorribande notturne nel cimitero, ficcarsi nei guai assieme agli inseparabili compagni Joe Harper e Huckleberry Finn … Detesta il lavoro e la scuola, ma è intelligente e furbo, e ha un cuore grande, coraggioso e generoso. Insomma: è un bambino sano e perfettamente normale… uno dei personaggi più simpatici della letteratura mondiale. Il nostro mondo, e specialmente quello americano, è profondamente cambiato rispetto a quello descritto nel romanzo, ma l'ironia e la tenerezza di quelle pagine uscite oltre un secolo fa dalla penna di Mark Twain riescono ancora a divertire e commuovere i lettori di tutte le età. La lettura, agile e coinvolgente, è dell'attrice Eleonora Calamita.

http://www.ilnarratore.com/prodotti/idx/210/Mark-Twain--Le-avventure-di-Tom-Sawyer---download.html

venerdì 15 luglio 2011

Finale epico di Harry Potter

Harry VS L'uomo senza naso
E' la resa dei conti tra Harry e Voldemort. Mentre a Hogwarts infuria una sanguinosa battaglia che vede contrapposti i mangiamorte ai maghi "buoni", Harry, Ron e Hermione sono alla ricerca degli ultimi Horcrux: pezzi dell'anima di Voldemort. E' uno scontro tra bene e male dove il male, in questo caso, è assoluto perché privo di ogni giustificazione. A questa ricerca si sovrappone quella dedicata ai doni della morte: tre oggetti che, se posseduti, danno un grande potere: il potere di vincere la morte stessa.

Senza spoilerarvi troppo dico, in breve, che l'ottavo film di Harry Potter è un buon film e va visto soprattutto perché c'è sostanza e chi l'ha prodotto non ha puntato soltanto sugli effetti visivi (l'ho rigorosamente visto in 2D), notevolmente migliorati rispetto a dieci anni fa (il drago della Gringott è perfetto a mio parere), ma anche su uno script che non ha buchi e non ha momenti morti.
Peccato che la Fox non abbia investito altrettante risorse nel quinto episodio, Harry Potter e l'ordine della fenice, e soprattutto nel sesto Harry Potter e il principe mezzosangue, dove Piton (Snape) doveva essere l'assoluto protagonista e invece si è ritrovato impegolato tra le trame principali per caso, tanto da affermare, alla fine del film, di essere il principe mezzosangue senza nessuna anticipazione narrativa che lo giustificasse. Ovviamente chi ha letto i libri non ha avuto molte difficoltà a capire, ma la fruizione di un film sottoposta alla lettura del libro relativo è sempre sbagliata. Piton, interpretato da un grande Alan Rickman (tanto per ribadire che neanche i grandi attori hanno snobbato Harry Potter), ha aperto il film con la sua figura nera, triste e romantica stagliata nel buio di una torre di Hogwarts. Una piccola rivincita per il maltrattamento subito negli script precedenti dove, quando agiva, era diventato poco più di una macchietta. La bravura di Rickman sta proprio nell'imperturbabilità con cui ha dovuto rendere un personaggio che nascondeva al mondo intero i propri sentimenti.  Al mondo intero ma non a se stesso, perché ha sempre saputo vedere chiaro nel buio della propria anima. Per questo ritengo Piton (Snape) il miglior personaggio dell'intera saga. Egli è un personaggio che riprende sorprendentemente lo stereotipo romantico rivisitato in chiave fantasy. Un personaggio che, se fosse stato babbano, assomiglierebbe indubitabilmente a Heatchcliff.

Un bel film quindi, e il finale epico della battaglia di Hogwarts (anche se si vedono soltanto i troll tra gli esseri magici, e credo che nel libro siano intervenuti anche elfi domestici e centauri) è ricco di suggestioni visive ed è oltretutto molto commovente. Rispecchia in pieno tutte le scelte narrative della Rowling, comprese due o tre forzature che ancora adesso non riesco a capire.
Il finale riprende lo stereotipo (o topos) delle grandi battaglie finali figlio, immagino, ma non sono un esperto di fantasy come tanti altri in rete, del Signore degli anelli. Nonostante questo la Rowling ci ha fatto assaggiare non tanto l'epicità della guerra, con i suoi eroi che muoiono in battaglia dopo un lungo scontro, ma il suo aspetto più crudo e infame: quello che uccide i personaggi senza che nessuno se ne accorga se non quando viene ritrovato il cadavere. Il focus quindi, come nel libro, si concentra su Harry mentre il resto dei maghi è impegnato a combattere contro i mangiamorte e i troll. E qualcuno, come sempre accade in guerra, ci rimette inevitabilmente le penne.

Di Harry Potter rimarrà tutto, perché la saga della Rowling è un vivido esempio di buona scrittura per ragazzi, con cambi di stile e linguaggio, al crescere dei ragazzi stessi, che dimostra una bravura che forse neanche lei sapeva di avere. Insomma, c'è sostanza dietro il successo del maghetto, non è una delle tante operazioni nate a tavolino e che muoiono al cambio della stagione. Chi snobba Harry Potter probabilmente non l'ha letto, e se l'ha letto è chiaro che non l'ha capito fino in fondo. Basterebbe a giustificarlo la ricchezza dei personaggi, non soltanto le trame articolate. D'altronde anche Umberto Eco si vantava di leggere Dylan Dog insieme alla Bibbia e ad Omero... e se non è snob lui...

Da qualche tempo J.K. Rowling ha aperto un sito dove afferma che le avventure di Harry Potter continueranno. Ancora non si sa molto. Il sito è online, ma le iscrizioni apriranno ufficialmente a ottobre. Intanto potete lasciare la vostra email e aspettare:
http://www.pottermore.com/

martedì 12 luglio 2011

Vado, Tokyo e torno

Vado, Tokyo e torno, scritto da Fabio Bartoli (1) e pubblicato dalla piccola casa editrice di Latina Tunué, non è una guida turistica, è importante dirlo. E' piuttosto un blog cartaceo ricco di impressioni e suggestioni sensoriali (dal gusto dei cibi giapponesi alla meravigliosa visione della fioritura dei ciliegi, tanto per citarne due). Sono proprio i sensi i protagonisti di questo viaggio che Fabio ha voluto intraprendere in Giappone come a voler chiudere in cerchio la linea che unisce la sua infanzia alla maturità. Fabio, infatti, è nato nel periodo del boom dei cartoni animati giapponesi (2), fa parte della cosiddetta Goldrake Generation (3) e l'attrazione verso il "magico paese del Sol Levante" (4) è stata inevitabile. L'intervista, soprattutto le risposte di Fabio, è lunga e molto approfondita. Credo che sia inutile quindi fare un'introduzione che ripeterebbe soltanto ciò che l'autore spiega meglio nelle sue risposte.


Vado, Tokyo e torno
di Fabio Bartoli
Ed. Tunué

Dal sito Tunué
Dalle mirabilie di Tokyo allo splendore del Fujiyama, le rutilanti mode giovanili si mescolano a una grazia senza tempo. Fabio Bartoli, in un divertente diario di viaggio, racconta la sua avventura nella terra del Sol Levante: impressioni, intuizioni e meraviglia. Usi e costumi.

Sito Tunué con ricca anteprima del libro:
http://www.tunue.com/catalogo-tunue/?libro=vado-tokyo-torno.html

(1). Presto di Bartoli uscirà, sempre per la Tunué, il libro "Manga Scienza. Messaggi filosofici ecologici nell'animazione fantascientifica giapponese per ragazzi".
(2). Goldrake, tanto per citarne uno, e forse il più importante, è andato in onda la prima volta il 4 aprile 1978 presentato sulla prima rete nazionale da Maria Giovanna Elmi.
(3). Riguardo questo argomento è consigliato il libro Mazinga nostalgia, scritto da Marco Pellitteri per la Coniglio Editore.
(4). Verso della canzone Sasuke, scritta da Riccardo Zara e interpretata da I cavalieri del re


Il tuo libro parla di un viaggio particolare, la versione otaku del pellegrinaggio a La Mecca dei musulmani. Cosa spinge un appassionato di manga e anime come te a voler conoscere i luoghi in cui sono nate e ambientate quelle storie?

Personalmente non posso proprio definirmi un otaku ma è fuori da ogni dubbio che io sia un appassionato di manga e anime. Al di là delle distinzioni, però, trovo la tua definizione assolutamente calzante. Questo fenomeno ha origine tra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli anni Ottanta, il periodo della prima invasione degli anime in Italia. Molto di noi sono cresciuti declinando la propria immaginazione attraverso uno stretto rapporto dialettico con la produzione culturale giapponese e io trovo quindi normale, quasi fisiologico, che l'interesse per quel paese, col trascorrere degli anni, assuma una dimensione più matura. Io, per esempio, crescendo mi sono via via appassionato al Giappone anche come paese in sé, a 360°, non solo come culla di manga e anime e perciò una volta che mi si è presentata l'occasione di visitarlo, complice l'invito di un amico andato a lavorare là per un anno, non ho certo esitato. Immagino che col susseguirsi delle generazioni il fenomeno sia destinato a ripetersi con le stesse modalità: oggi e domani sarà non chi è cresciuto con Heidi e Goldrake ma con i Pokémon e Sailor Moon ad affrontare il viaggio con questo spirito. In ogni caso penso sia giusto vivere questa passione con sano entusiasmo e non con un fanatismo o una maniacalità limitanti come fanno, per ritornare all'origine del discorso, gli otaku, anche nella loro presunta versione occidentale

C'è qualcosa del Giappone che immaginavi fosse diverso? E cos'è che ti ha fatto esclamare (se è successo) la frase "E' proprio come nei cartoni animati!"

Ciò che ti stupisce al primo impatto è l'enorme differenza tra le proporzioni di una metropoli come Tokyo e quelle delle nostre città europee, comprese le più grandi: la capitale nipponica è talmente estesa e talmente popolata e frequentata da farti subito accorgere di come le categorie mentali ereditate dalla vecchia Europa siano del tutto insufficienti per prefigurarti lo spettacolo che si para innanzi ai tuoi occhi quando vi giungi. Una volta superato il primo shock sensoriale, devo dire che, almeno personalmente, l'aspetto che più mi ha colpito riguardo la mancata concordanza tra gli stereotipi e le conseguenti aspettative sui giapponesi e la realtà concerne la presenza della tecnologia nella vita quotidiana: il Giappone che ho visto io infatti è tutto fuorché l'impero della tecnologia che noi ci immaginiamo, almeno di quella fine a se stessa. Non ve ne è ostentazione gratuita e l'uso che ne viene fatto è sempre pratico e funzionale. Insomma, se i giapponesi devono scrivere qualcosa su un foglio di carta usano una penna a sfera e non la spada laser di Guerre stellari come qualcuno sarebbe tentato di ipotizzare...
Per quanto riguarda la frase "E' proprio come nei cartoni animati"... beh, la pronunci talmente tante volte che alla fine la dai per scontata. Passeggiare per Tokyo significa davvero ritrovarsi tra le pagine di un manga o nella puntata di un anime: i picnic sotto i ciliegi in fiore (sono stato in primavera), gli studenti che passeggiano con le loro divise, i chioschetti di dolci lungo i viali... Per non parlare di Shibuya, il quartiere dei giovani di Tokyo, quello delle ultime tendenze accompagnate dalla musica J-Pop! Farci un giro significa capire come manga e anime descrivano semplicemente la realtà, senza alcuna esagerazione. Il look dei giovani di Shibuya è lo stesso che vediamo rappresentato, solo per fare un esempio, nei manga di Ai Yazawa. Poi pensa ai capelli dei personaggi maschili, prendendo a modello Ryuzaki/L di Death Note: ecco, i ragazzi a Shibuya li portano esattamente come lui, nessuna iperbole grafica.

Leggendo il tuo libro mi è rimasto molto impresso il passaggio in cui parli degli johatsu, gli evaporati: persone che hanno perso il lavoro e vivono irreversibilmente come dei senzatetto. Il Giappone, anche da questa descrizione, mi dà l'idea di un paese profondamente conservatore. Mi spiego, e parlo da occidentale che non è mai stato in quella terra: ho l'idea che sin da bambini i giapponesi siano educati a questa dignità, preparati alla sconfitta, ma questo più che un valore mi sembra essere uno strumento di controllo finalizzato alla prevenzione delle rivolte sociali. Al Giappone forse è mancato un Sessantotto, un vero e proprio scontro generazionale e di classe. Tant'è che nel libro stesso si parla del look delle nuove generazioni non come vere forme di trasgressione, ma come “divise” omologanti, ovvero: si può indossare una divisa anche tingendosi i capelli dei colori più disparati. Tutt'altra roba rispetto alla cultura punk.

 In realtà credo che il discorso possa partire da anche più lontano. Riallacciandomi alle tue osservazioni potrei dire che non solo il Giappone non ha avuto il suo Sessantotto (movimenti studenteschi e contestazioni hanno avuto luogo ma certo nulla di paragonabile, per esempio, al Maggio francese) ma non ha avuto nemmeno la sua Rivoluzione francese né il suo Quarantotto. Basti pensare che il suo processo di modernizzazione avviato nella seconda metà del diciannovesimo secolo fu originariamente concepito come una restaurazione.
Non si sono mai prodotti quei sommovimenti politici e sociali che hanno mutato il volto dell'Occidente, che anzi cambiava proprio mentre il Giappone rimaneva isolato dal resto del mondo. Credo che da questo punto di vista non possa non incidere la sua collocazione geografica, la sua natura di isola a sé stante, distaccata dal resto delle altre nazioni. Anche paesi come la Cina e l'India hanno una tradizione del tutto diversa dalla nostra ma durante l'epoca coloniale hanno potuto, in seguito al forzato contatto con gli occidentali, mutuare da essi elementi di teoria e prassi politica, economica, sociale... Niente di tutto questo è avvenuto in Giappone, diventato un paese democratico sotto l'occupazione statunitense immediatamente successiva alla Seconda guerra mondiale. Ecco perché è piuttosto estranea al paese l'idea di una trasformazione della società come noi la concepiamo. Oggi ci sono tanti giovani che "contestano" la società dei padri ma più che di scontro si tratta di rifiuto, di rivendicazione di un'alterità sulla base di presupposti individuali, estetici, esistenziali. Più che preparati alla sconfitta i giapponesi sono educati all'obbligo della vittoria, dell'affermazione di sé attraverso i canali adulti del lavoro e della famiglia, obiettivi che oggi in tanti si rifiutano di perseguire per lo sconcerto degli adulti (nonostante sembri una nazione giovane in ogni suo aspetto, il Giappone ha una popolazione dall'età media molto elevata). Quanti di questi ultimi falliscono appunto "evaporano" per la vergogna, per non essere etichettati come un peso per la società. Nel libro non parlo in profondità di questi aspetti perché è un racconto di viaggio in prima persona, non un'analisi fatta attraverso statistiche e letture. Ne approfitterei quindi per sovrapporre i piani del reportage e della riflessione, presentando il Giappone come un paese i cui mutamenti più immediatamente percepibili che io stesso narro con meraviglia e stupore, come l'elevato e costante sviluppo tecnologico e - per restare nello specifico della domanda - le variegate mode giovanili, poggiano in realtà, come tu giustamente osservi, su un sostrato culturale innegabilmente conservatore

Nei loro anime e nei manga i giapponesi si sono messi a nudo raccontando tutto di se stessi: la vita quotidiana, le paure di un apocalisse incombente, loro che forse una versione di questa l'hanno già vissuta nella seconda guerra mondiale, e i desideri più intimi, trasgressivi. C'è qualcosa invece che hanno voluto nascondere a noi occidentali?

Io credo di no, per la semplice ragione che anime e manga sono concepiti soprattutto per il pubblico nipponico. Negli ultimi anni i giapponesi, consapevoli dell'appeal esercitato dai propri prodotti sulle audience straniere, hanno sì intrapreso nuove strategie di marketing di respiro internazionale, ma in fondo gli introiti maggiori rimangono appunto garantiti dal mercato interno. Per esempio anche al museo Ghibli, concepito e realizzato da una casa di produzione ormai famosa in tutto il mondo, le scritte sono quasi tutte in giapponese, segno che l'istituzione si rivolge principalmente alla massa potenziale dei visitatori indigeni. Per questo credo che, gettando su di essi uno sguardo attento, anime e manga possono spiegarci molte cose riguardo il popolo giapponese. Ritengo quindi che più di un loro tentativo di "nascondersi" ai nostri occhi sia la nostra inevitabile mancanza di tutti i requisiti interpretativi necessari (si tratta pur sempre di una cultura diversa e lontana dalla nostra) a farci sfuggire quanto desideriamo comprendere.

Credo che gli anime abbiano formato i bambini della nostra generazione molto più dei classici per l'infanzia. Anzi, il ricordo di molti di essi è legato al corrispettivo animato e non al libro: come Remì o Heidi i cui romanzi sono stati riscoperti proprio grazie al successo dei cartoni animati. Secondo te cosa è rimasto di quegli anime (robotici, maghette, WMT (1), ecc.) nei trentenni di oggi?

Sono assolutamente d'accordo con te. Credo che gli anime abbiano dato a un'intera generazione una scala di valori, delle linee guida per orientarsi nel mondo circostante. Non so se si possa dire lo stesso anche per le epoche successive (è ancora presto per farlo) ma di certo è successo per la cosiddetta Goldrake-generation. Credo che la caratteristica principale dell'animazione giapponese in tal senso sia quella di non offrire una realtà edulcorata ma, anche attraverso le sue rappresentazioni più fantastiche, molto simile a quella che ci si ritrova ad affrontare una volta diventati adulti. Non c'è mai un deus ex machina che risolve la situazione all'improvviso e né basta essere semplicemente buoni per ottenere quanto si desidera. Anzi, molto spesso la realtà è dura, a volte anche crudele e in molteplici occasioni l'eroe deve scontrarsi con gente malvagia e senza scrupoli semplicemente per rivendicare il suo diritto a una vita tranquilla. Spesso da solo non può raggiungere il suo scopo e deve cercarsi gli alleati giusti per perseguirlo, che a volte è costretto addirittura a vedere morire. Una rappresentazione che ad alcuni potrebbe sembrare esasperata ma che senza dubbio prepara all'effettivo mondo degli adulti, quello di cui facciamo esperienza tutti i giorni. Quindi più che rispondere riguardo ciò che è rimasto, ne approfitto per esprimere cosa vorrei che lo fosse: coloro che oggi hanno tra i trenta e i quaranta anni, in cui sono incluso, sono stati bambini in una società che sembrava promettere una vita molto più facile di quella che poi si sono ritrovati a vivere. E' stato un brusco risveglio con cui bisogna comunque fare i conti e personalmente penso che si dovrebbe farlo nel modo suggerito da tantissimi anime, ovvero con determinazione e coraggio, cercando di affermarsi con le proprie forze in un mondo che non ti regala niente. E quando ciò sembra impossibile e da soli tutto appare inutile e frustrante, bisogna cercare l'aiuto dei propri simili con i quali tessere autentiche relazioni di condivisione e solidarietà. Ciò avviene negli anime robotici, in quelli d'avventura, in quelli sportivi... insomma, è una lezione trasversale che oggi siamo chiamati a mettere a frutto. Per quanto ci è possibile, ovvio...

Ad un curioso che intende visitare il Giappone, soprattutto a chi non conosce la lingua e le usanze locali, cosa consigli?

In principio consiglio quello che suggerirei in ogni caso a chi si prepara per un viaggio, ossia informarsi quanto più possibile sul paese che si andrà a visitare, dagli aspetti eminentemente pratici a quelli culturali. Quando ti rechi in un paese per un tempo limitato puoi scoprire solo una parte di quello che ti offre e andarci senza preparazione fa sì che questa parte si riduca ulteriormente. Questo vale a maggior ragione per una nazione come il Giappone, così diversa dalla nostra, nella quale per giunta, considerando la distanza, non si ha affatto la certezza di poter ritornare. Credo che la nostra generazione, potendo disporre di uno strumento come Internet, sia molto agevolata nel reperire informazioni e quindi basta un po' di buona volontà per cercare di soddisfare tutte le proprie curiosità. Io sono stato favorito nel compiere il mio viaggio dalla simultanea presenza a Tokyo di mio amico che viveva là e di un altro che vi si reca molto spesso ma, col senno del poi, posso dire ai turisti di armarsi di molta curiosità e anche un po' di pazienza, dal momento che la conoscenza della lingua inglese, fatta eccezione per gli ambiti più strettamente legati al turismo, non è diffusa quanto si possa pensare. Ai possibili prossimi partenti per il Giappone posso comunque dire di partire tranquilli e rilassati, sia perché il paese nipponico è molto organizzato e quindi molto sicuro sia perché gli indigeni mi sono sembrati sempre molto ben disposti verso gli stranieri, per giunta esentati dall'osservanza di tutte le regole comportamentali che si pretende vengano rispettate dagli autoctoni (questo, chiaramente, non significa essere legittimati ad abusare di questa percepibile tolleranza). Tornando al discorso iniziale, credo che il reperimento di informazioni dal marzo 2011 sia diventato ancora più importante: magari oggi tante persone possono sentirsi scoraggiate nell'intraprendere un viaggio in Giappone perché potrebbero percepirlo, soprattutto a causa di un tam-tam mediatico molto suggestionante e a volte fuorviante (ricordo un servizio della Rai in cui veniva asserito che gli abitanti di Tokyo portassero le mascherine per paura delle radiazioni ma invece le indossano sempre, e specialmente in primavera quando i pollini nell'aria sono più diffusi), un luogo interamente pericoloso. A chiunque possa avere questi dubbi, in via cautelativa consiglio di contattare l'Ente del Turismo giapponese, l'Ambasciata italiana e soprattutto di leggere i blog di italiani che vivono in terra nipponica, provando a contattare se possibile i loro autori; chi vive in un determinato luogo è di certo la persona più adatta a riferire se esso sia sicuro o meno!

Grazie per l'intervista e in bocca al lupo.

(1). World Masterpiece theater. Serie di anime ispirati ai classici per l'infanzia come Heidi, Remì (Senza famiglia), Loverly Sara (La piccola principessa), ecc.
http://teleblu.sigletv.net/index.php/World_Masterpiece_Theater

sabato 9 luglio 2011

The giver sul grande schermo?

Il cinema si sta interessando veramente a The giver di Lois Lowry, un romanzo di cui ho parlato fin troppo e che vi consiglio di leggere. Stando a un articolo del Sole 24 Ore ad acquisire i diritti cinematografici è stato Jeff Bridges il quale, verosimilmente, vestirà i panni del "donatore". Non spoilero altro. Fino a poco tempo da sembrava che ad avere i diritti fosse la Fox e che la regia fosse stata affidata a David Yates. Il protagonista, dicevano, sarebbe stato Dustin Hoffman. L'esperienza mi ha portato a pensare che tutte queste notizie in realtà sono marketing a basso costo. I diritti d'autore vengono ceduti con molta facilità alle major cinematografiche, ma da qui a realizzare il film poi ce ne passa di tempo, se mai lo faranno. Quindi, almeno finché non ci saranno notizie certe, i detrattori di Lois Lowry possono stare tranquilli.

La fine della saga di Harry Potter al cinema lascerà un gran vuoto, ed è chiaro che le grandi industrie cinematografiche non hanno ancora capito come riempirlo. Twilight non è sufficiente: dal punto di vista del marketing mi sembra già morto... o forse è soltanto una mia impressione? Il clone di Harry Potter, ovvero Percy Jackson, sembra essersi perso nell'ade: non so se faranno seguiti e francamente non so neanche se ne vale la pena. Nel frattempo gli attori, che sono ragazzini, crescono ed escono fuori dal ruolo, almeno nell'aspetto. Fuori ruolo è ormai anche la ex bambina Dakota Blue Richards che interpretava Lyra ne La bussola d'oro, un vero capolavoro fantasy. Un vero peccato quindi che non abbiano trasposto anche La lama sottile e Il cannocchiale d'ambra. Speriamo almeno in un reboot oppure in una continuazione, magari sostituendo i giovani attori.
La saga de Le cronache di Narnia continua imperterrita invece, nonostante la noia che mi procura ogni volta. E forse un giorno leggerò anche i libri, ma se il tenore delle vicende è quello penso che risparmierò tempo. Faccio male? E' un vuoto da colmare? Non sono un fervido lettore fantasy quindi devo trovare stimoli molto importanti per poter intraprendere una lettura simile.
Di Hugo Cabret ne ho già parlato. Il film è in realizzazione, ma in 3D. Il 3D è una delle più grandi fregature degli ultimi anni e spero vivamente che scompaia dalle sale e che i proiettori adibiti a questa tecnologia prendano fuoco spontaneamente. Quel film lo immaginavo con una fotografia retrò, in bianco e nero magari.
Da qualche anno si parla anche di un remake del film de La storia infinita. In uno dei miei articoli su Michael Ende credo di averne parlato. Il grande scrittore tedesco, che visse a Genzano (Roma) per molti anni, rifiutò di porre la propria firma al film definendolo una produzione scialba in stile Hollywood: solo effetti speciali e niente approfondimenti filosofici. Non aveva tutti i torti il nostro Michael. Infatti gli eredi sembra che stiano pensano a una versione che, dicono, "lo avrebbe soddisfatto". Tra i produttori ci sarebbe Leo Di Caprio. Ma anche in questo caso le notizie certe sono. A me non dispiacerebbe affatto un remake, sarebbe un peccato però perdere l'unica cosa buona di quel film: la colonna sonora.

martedì 5 luglio 2011

Insieme di Mario Lodi

Non volevo parlare di questo libro per due motivi: il primo è che non sono un educatore e non essendolo con molta probabilità mi mancano gli strumenti per capirlo a fondo. Il secondo è che non è un romanzo, né una raccolta di racconti. Il terzo, (ah, avevo detto due...) è che non è reperibile da anni e ho avuto la fortuna di trovarlo nei soliti scaffali dedicati ai remainders e all'usato. Infatti la mia è la seconda edizione, anno 1974. L'anno in cui sono nato, tra l'altro.
Insieme è composto dai giornalini di classe che hanno costituito una parte importante del programma di una quinta elementare di Vho di Piadena nell'anno scolastico 1972/73. Il maestro di questa classe era ovviamente Mario Lodi, autore, sempre insieme ai suoi alunni (insieme è una parola chiave del modo di pensare la didattica del maestro), anche di Cipì di cui vi ho parlato tempo fa.

In realtà non volevo neanche leggerlo questo tomo di 400 pagine, non tutto almeno. Poi quando mi sono accorto che i resoconti giornalieri di fatti di cronaca di allora, che oggi sono storia, erano interessanti, allora ho continuato. Ho vissuto come se stessi leggendo un quotidiano le vicende della guerra in Vietnam fino agli accordi di pace del 1973. La strage di Monaco, avvenuta nell'estate 1972, che ha dato spunti di riflessione sulla questione mediorientale. Ho vissuto attraverso gli occhi dei bambini della quinta elementare le ragioni dei numerosi scioperi, la rabbia contro il "padrone" capitalista e oppressivo, quando si parlava ancora di lotta di classe, di morti bianche (1), e i sindacati servivano veramente a qualcosa. Inoltre sul giornalino sono state pubblicate lettere di Gianni Rodari, Giulio Andreotti (allora ministro degli esteri credo); si parla inoltre di un certo Roberto Denti che aveva aperto da poco la Libreria dei ragazzi a Milano, e molto altro. Interessanti gli approfondimenti didattici e una storia di Gesù rivisitata e modernizzata tant'è che alla fine, invece di essere crocifisso, viene scaraventato giù da una finestra come l'anarchico Giuseppe Pinelli (2).
Tutta l'atmosfera dei primi anni '70 è racchiusa in questo libro. Mi chiedo allora perché non è possibile pubblicarne uno ogni tanto. Ogni generazione di studenti delle elementari (primarie) dovrebbero scrivere il proprio giornale, il proprio libro di storia, una storia scritta dal punto di vista dei bambini.
I 135 giornalini della quinta elementare sono preceduti da un'ampia introduzione di Mario Lodi che spiega, in maniera chiara e dettagliata, il lavoro svolto.

(1). In molti erano figli di operai e le questioni lavorative dei propri genitori erano chiaramente molto sentite dai bambini che le introiettavano alla stregua delle parabole del vangelo. Probabilmente se ne parlava molto in famiglia, forse a tavola, chissà...  Allora la fabbrica era luogo di rivendicazione dei propri diritti, non soltanto un luogo passivo in cui lavorare soltanto. Le morti bianche erano numerose, molto più di adesso. La differenza è che allora gli operai si facevano sentire e il "padrone" era costretto a migliorare le loro condizioni lavorative.
(2). Questi episodi sono raccolti nel libriccino Gesù oggi della Gabrielli Editori.

sabato 2 luglio 2011

Dare a Cesare...

Ecco, torno a fare un ordine online dopo sei mesi e capita di nuovo qualcosa. A questo punto penso che la mia sia semplicemente sfiga.

Dopo la sfortunata vicenda accaduta con Amazon.it decido di ordinare stavolta su BOL.IT. Tra i libri presi c'è il seguito di The Giver che ho ampiamente commentato e che mi ha sicuramente invogliato a proseguire la lettura della trilogia di Lois Lowry. Stavolta non ho messo il mio indirizzo, ma un altro "prestatomi" per gentile concessione: è scientificamente provato che i corrieri che tentano di avvicinarsi a casa mia vengono attratti da forze oscure che li spingono a perdersi. La mia zona, tutta campagna e vigneti (anzi ex vigneti, ormai pure quelli sono in via di estinzione come le case editrici), è l'equivalente del triangolo delle Bermuda dei corrieri. Proprio ieri, tornando a casa, dopo aver svincolato la provinciale e dribblato un gregge di pecore, mi sono ritrovato davanti a un furgone Bartolini mestamente parcheggiato a fianco della strada, con le quattro frecce attivate. L'autista tentava disperatamente di leggere una mappa credo, o qualcosa del genere. Magari era solo imboscato, chissà. Sta di fatto che in un paese civilizzato ogni corriere dovrebbe avere un navigatore. Ce l'ho io che guido poco e male...
Lasciamo il furgone Bartolini al suo destino e torniamo a parlare del mio libro. Il libro arriva puntuale dopo 48 ore (era in pronta consegna). Ovviamente non essendo un mio indirizzo devo aspettare quattro giorni per andarmelo a prendere. Ma io sono paziente.
Non vedevo l'ora di iniziare La rivincita: Gathering Blue (perché la rivincita? Boh, mantenere il titolo inglese non sarebbe stato male).
Scarto il pacco. Il libro è in buone condizioni: non ha piovuto e, in ogni modo, con BOL non ci sono mai stati problemi come quelli accaduti con Amazon (mi hanno riferito di depositi a cielo aperto, sarà vero?).
Insomma, sembrava andare tutto bene se non fosse che dopo pagina 208 c'era pagina 33. Ecco, lo sapevo. Fortunatamente quando mi arriva qualcosa, o prima di comprare qualcosa (fosse anche un pacco di patatine), cerco la fregatura quindi mi accorgo ben presto che il libro è stato rilegato male.
Capita. La cosa buona è che BOL me lo ha immediatamente rispedito senza chiedere la restituzione del vecchio. Già mi stavo programmando per andare in cartoleria e comprare la busta, portare una penna appresso per l'indirizzo, e andare alle Poste Italiane (altro buco nero della burocrazia italiana). BOL ha anche un servizio di assistenza su Facebook, cosa non da poco.
Il libro è arrivato in pochi giorni e l'ho pure terminato. Ed è pure bello anche se, a mio parere, inferiore al primo. Ne parlerò più in là.


PS: La mia non è pubblicità, non ho nessun interesse a parlare bene di Bol piuttosto che di Amazon. Parlo da consumatore che è sempre molto attento a ciò che compra e si informa sui propri diritti. Se non fosse che questo blog è dedicato ai libri, parlerei anche di altre sventure. E ne avrei parecchie da raccontare!