venerdì 24 dicembre 2010

Il castello che non c'è più (prima parte)

Quello che segue è la prima parte di un raccontino per bambini, target 8-10 anni, che scrissi tempo fa. La seconda ed ultima parte arriverà a breve. L'immagine del castello è gentilmente offerta da Google image.


I


Quello in cui viveva Alessandro era un paese molto povero e dimenticato da tutti. Anche gli abitanti a volte si chiedevano dove vivessero. Le cartine poi, proprio dove avrebbe dovuto esserci scritto il nome, avevano tutte una sottile riga bianca dovuta alla piega o un buco nato da un mozzicone di sigaretta acceso, quanto bastava per cancellare l'esistenza di quel piccolo mucchio di case diroccate.
Il paese di Alessandro era povero, senza corrente elettrica e per di più abbarbicato su una montagna dove non era possibile arrivare in macchina. Il mezzo di trasporto più comune era quindi il mulo. C'era chi aveva un mulo diesel, uno di quelli che dopo una bella scorpacciata di fieno possono trottare tutto il giorno senza fermarsi, poi c'era chi, possedendo più terre degli altri ed essendo più ricco, poteva permettersi un mulo sportivo, con tanto di bardatura colorata con su scritto 46, paraocchi aerodinamici e briglie in pelle di ultima generazione.
Era inoltre un paese decisamente privo di ogni attrattiva. Non sembrava che avesse una vera storia, o se l'aveva nessuno la ricordava abbastanza bene da poterla raccontare. Insomma, non c'era niente che potesse essere scritto sui libri. Nulla di strano o particolare, tranne una cosa: un grande prato abbandonato, delimitato da uno steccato cadente come i denti di un vecchio di duecento anni.
Dicevano tutti che quel prato era pericoloso ed era meglio non entrarci, anche se nessuno sapeva perché.
Alessandro aveva subito pensato che quel prato nascondesse qualcosa.
Si dice che una volta un uomo abbia attraversato il recinto e sia improvvisamente scomparso – gli disse sua madre un giorno. – E nessuno l'ha più visto!
E non solo! – Aggiunse suo padre. – Allo zio Gerardo è bastato metterci un piede dentro per vedere cose strane. Credo che abbia addirittura visto un drago. Sai, uno di quei draghi verdi che volano in cielo e sputano fuoco.
Se lo zio Gerardo dice di aver visto un drago, perché non dovrebbe essere vero? – chiese Alessandro, che a otto anni aveva più domande che risposte.
Perché vedi, lo zio Gerardo non ci sta tutto con la testa – gli rispose la mamma con franchezza – È... come dire... pazzo! Pensa davvero che esistano quelle cose lì...draghi e fantasmi e cavalieri neri.
Dove si trova adesso? – chiese Alessandro.
Dove vuoi che siano i pazzi? – gli rispose suo padre alzando le mani al cielo – È in manicomio con quelli come lui! Oh, fosse per me farei finta di non essergli parente. Dovrei far finta di non conoscerlo! Gli infermieri non fanno altro che lamentarsi di lui. Dicono che di notte, invece di dormire, si mette a cantare litanie medievali e a urlare cose strane.
Litanie medievali – ripeté Alessandro tornando a pensare al prato – E cosa urla lo zio, di preciso?
Ultimamente non fa altro che dire che durante la prossima luna piena scoppierà di nuovo la guerra. È pazzo! È pazzo non c'è dubbio! Quasi mi vergogno che porti il nostro stesso cognome: De Fessis. Oh, sì, uno come lui non lo merita sicuramente!

II

Il prato aveva la forma di un grande cavallo disegnato a mano, con zampe tozze e coda attorcigliata. Tutto attorno una serie di pali scrostati e fili di ferro arrugginiti. Visto dal di fuori non sembrava niente di più che un fazzoletto di terra incolto se non fosse per i numerosi cartelli infilati come spaventapasseri. O sarebbe meglio dire spaventauomini!


NON ATTRAVERSATE IL RECINTO! PERICOLO MORTALE

CHI SCAVALCA IL RECINTO POTREBBE VENIR SBRANATO

TORNA INDIETRO FINCHE' SEI IN TEMPO!


Alessandro rimase a fissarlo per molto tempo, accovacciato su una pietra poco distante, con le mani sotto il mento a reggere la testa che frullava di idee di ogni tipo.
Tutta quella storia era decisamente bizzarra. Nessuno sembrava conoscere con precisione i motivi per i quali non era possibile entrare nel prato. In fondo non c'era niente di cui aver paura: soltanto papaveri e piante di ortica e quella, a pensarci bene, ti pizzicava sulle gambe se ci passavi vicino quindi era meglio tenersi alla larga. Infine c'erano numerosi cespugli di menta selvatica che emanavano un profumo invitante.
Lo zio Gerardo in quel prato abbandonato ha visto cose strane. – disse tra sé – È anche vero che poi è stato chiuso in un manicomio, poverino. Eh, sì, dicono che non ci sia tanto con la testa.

III

La luna piena sarebbe arrivata quella notte stessa e avrebbe illuminato a giorno tutta la vallata.
Alessandro decise di tornare al prato, quindi ingollò velocemente un panino al salame, un bicchiere di aranciata e scappò fuori.
Dove vai? – urlò la mamma.
A giocare con Gianluca – rispose lui.
Se scendi a valle non entrare nel prato, intesi?
Sì, mamma.
E non giocate troppo con i videogiochi, capito?
Certo, mamma.
E non...
Va bene, mamma.
Corse velocemente attraverso il boschetto di castagni. Le fronde alte e folte gli procurarono un piacevole senso di freschezza. Poi scese verso la mulattiera proprio dove un fiumiciattolo scorreva lentamente, come se fosse stanco di tutto quel muoversi. Si sfilò le scarpe e lo attraversò. Decise di percorrere quell'ultimo tratto di strada a piedi nudi. Le foglioline, sotto i suoi piedi, scricchiolavano come patatine.
Il prato era lì, vuoto e triste. Una grandissima distesa di erba poco curata, quasi perfettamente in piano se non fosse per una collina che ingobbiva il terreno, proprio dove la luna stava sorgendo piena come un gavettone d'acqua.
Se ci sarà una guerra sicuramente ne sentirò i rumori – sussurrò Alessandro.
Non succedeva nulla però. Nessun rumore che potesse minimamente sembrare uno sparo, o il cigolio meccanico di una catapulta, o lo sferragliare di una spada. Niente di tutto questo. Quel posto era tristemente silenzioso e desolato. Sarebbe stato meglio accettare l'invito di Gianluca e andare a casa sua a giocare con i videogiochi, pensò deluso. Gianluca abitava nel paese a valle che, a differenza del suo, aveva la corrente elettrica, le automobili ed era anche segnato sulla cartina!
Mentre pensava a tutto questo si sentì qualcosa che assomigliava a un cupo

SDENG!

Quel rumore lo svegliò. Il piccolo infatti si era appisolato accanto alla staccionata sgangherata e non si era accorto che nel frattempo era calata la notte. La luna era grossa e tonda e le nuvole se ne stavano in disparte, come se temessero di coprirla.
Devo sbrigarmi! Devo sbrigarmi! – urlò una voce – La guerra incombe e se non arrivo in tempo saranno guai!
La figura che si stava avvicinando aveva un aspetto familiare. Era un uomo alto, il viso magro e scavato con un ciuffo di peli sul mento. Gli occhi grandi e marroni, come i suoi. Inoltre indossava una strana armatura metallica il cui elmo non sembrava particolarmente solido.
Zio Gerardo! – urlò Alessandro.
Ragazzino, sbrigati! La guerra sta per iniziare. Vuoi rimanere qui oppure preferisci aiutarci?
Alessandro non ci pensò due volte e rispose:
Vi aiuto, senza dubbio.
Così Alessandro vide lo zio scavalcare la staccionata con un salto. Una volta dentro sembrava che stesse parlando con qualcuno. Poi pian piano si dissolse fino a scomparire del tutto.

3 commenti:

Ariano Geta ha detto...

Come sai la letteratura per bambini non è il mio genere e non posso esprimere un parere competente, però lo trovo simpatico per ora. Mi ha fatto venire in mente Landolfi e Calvino come stile.

Ariano Geta ha detto...

P.S.: buon Natale! :-)

Mirco ha detto...

auguri a te, e ovviamente alla tua famiglia :)