lunedì 16 marzo 2009

La fenice: un estratto


Piccolo estratto dal nono capitolo de "La fenice che danzava nei sogni", il romanzo per ragazzi che ho scritto e che dovrei spedire a qualche casa editrice, pigrizia permettendo.
La prima parte di questo estratto l'ho utilizzata come quarta di copertina quando ho stampato il manoscritto con Lulu.com per inviarlo alla Salani, alla Fanucci e alla Giunti, le quali a distanza di nove mesi non mi hanno risposto. E forse non lo faranno mai, anche perché un manoscritto non va inviato come ho fatto io: intero, brossurato e senza nome sopra (l'ho messo soltanto nella lettera).

Per chi non avesse letto i precedenti messaggi sulla Fenice che danzava nei sogni, ricordo che è il primo di tre libri che fanno parte di una saga basata sull'alchimia. La fenice è molto importante perché il simbolo della terza fase della preparazione alchemica, ovvero il Rubedo, l'opera al rosso. E' il simbolo della pietra filosofale.
Ovviamente se parlassi soltanto di pietra filosofale sarebbe un romanzo noioso e non piacerebbe ai bambini, quindi ho trovato il modo di metterci oggetti "alchemici" quali il tappeto volante, porte in cui si può viaggiare nel tempo, spade potenti e altro.
In questo romanzo non parlo mai di magia, ma di alchimia. Non ho mai usato il termine "magico", "mago" o "pozione magica", anzi me ne sono accuratamente tenuto alla larga. Parlo infatti di "alchimisti" e "opere alchemiche". Non esistono formule magiche ma "quartine ermetiche", composizioni in quattro versi che si rifanno alla tavola smeraldina di Hermes Trismegisto, il primo alchimista della storia.
La citazione contemporanea della fenice e del tappeto volante proviene da un vecchio libro inglese intitolato The Phoenix and the Carpet di Edith Nesbit. E' un omaggio voluto e anche sentito.
Un ultimo appunto su ciò che leggerete: ho sentito dire che la teoria del pollice verso non è provata. E' una specie di leggenda metropolitana.
Il capitolo ha come titolo Il pranzo di Natale.

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Roma era una città magnifica vista dall’alto. Le luci delle case e dei monumenti sembravano tante piccole stelle del firmamento, e nel suo cielo, dove nessuno avrebbe mai guardato, il tappeto volava planando sospinto dagli sbuffi del freddo vento dicembrino, sopra la testa di milioni di persone che nelle loro case stavano festeggiando la notte di natale.

Max riconobbe il Colosseo: era maestoso ed emanava profumo di storia, quella storia che lui odiava studiare e che la maestra Anna, per indorare la pillola, farciva di aneddoti e avvenimenti divertenti. Così si ricordò della lotta tra gladiatori e immaginava di vedere uomini nerboruti e sanguinanti scagliarsi addosso mazze ferrate e reti, prendersi a spadate e spaccarsi tutte le ossa con i magli. E una volta che uno dei due gladiatori fosse steso a terra esanime, dalla tribuna l’imperatore si sarebbe alzato in piedi; nel silenzio del pubblico avrebbe indicato col pollice se uccidere o meno lo sconfitto: col pollice in su sarebbe rimasto in vita, col pollice verso avrebbe avuto il colpo di grazia.
Massimiliano non poteva fare a meno di osservare Altea: era ancora agitata, sedeva sul tappeto con estrema sicurezza, sembrava che fosse abituata a volare. E lui che si teneva aggrappato tremando come una foglia, cercava di godersi quel volo magnifico liberando la mente dalla paura dell’altezza e dalle tante domande che di lì a poco le avrebbe rivolto. Gli sembrava una buona occasione per avere spiegazioni su tutto ciò che era capitato da quando la gazza gli aveva portato lo scarabeo d’oro che aveva al collo.

- Credo che tu voglia delle spiegazioni, Max – anticipò Altea. Massimiliano da qualche minuto cercava il coraggio di porle la fatidica domanda senza riuscire ad aprire bocca. Per un attimo pensò di essere rimasto immobilizzato a causa dell’effetto di un’altra ampolla alchemica.
- Non aver paura e non cadrai, cerca di goderti il panorama. Guarda lì che bello! E’ il Circo Massimo. Ne abbiamo parlato a scuola, te lo ricordi?
- Credo che vomiterò se non mi fai scendere!
- Va bene. Scendiamo lì. – Altea indicò il prato del Circo Massimo. Il tappeto si fermò a pochi metri dal suolo e scese a terra lentamente come un ascensore. Una volta a terra Max tirò un sospiro di sollievo e le sue guance ripresero un po’ di colore.
- Siamo fortunati, non c’è nessuno in giro – disse Altea soddisfatta.

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