giovedì 8 maggio 2008

L'altro

Racconto di fantascienza scritto nel lontano 2001 per un concorso indetto da una rivista ormai defunta: MC Microcomputer. Non vinsi e non fu pubblicata. La pubblicai tempo dopo sul sito www.cravenroad7.it
Ispirata a "Sentinella" di Fredric Brown, "L'altro" è una variante del tema: e se gli alieni fossimo noi?
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La navicella viaggiò per svariate unità di tempo percorrendo 2.5 parsec. Attraversò incolume galassie, nebulose, qualche raro incontro con meteoriti in fuga dal nulla avevano costretto il suo pilota, nonché unico passeggero, a difendersi con le armi laser.
Al di fuori di essa le stelle strisciavano come serpenti, incrociavano la piccola Imbarcazione Stellare Marina, così fu battezzata dal suo capitano, proiettando i fulgori di una vita persa e forse estinta da migliaia di anni.

Quando attraversò la fascia di meteoriti che separa Marte e Giove, si sentiva già odore di mare. Il ritorno sul pianeta di origine era atteso da tutti i duecentocinquanta miliardi di persone sparse per tutta la galassia, con ansia, era un evento paragonabile allo sbarco lunare del primitivo Armstrong ventimila anni prima.

L’Imbarcazione Stellare Marina si fermò a dieci chilometri dal suolo terrestre. Lo schermo proiettava un enorme distesa d’acqua che nel corso degli anni aveva fagocitato la terra emersa riducendola a poche migliaia di chilometri quadrati.

I computer iniziarono ad elaborare i dati. L’atmosfera presentava notevoli quantità di anidride carbonica, poteva considerarsi ormai irrespirabile per L’homo sapiens sapiens. La temperatura arrivava a picchi di ottanta gradi nella fascia equatoriale e si riduceva a venti, forse trenta, nelle zone artiche. La scarsa vegetazione presentava delle espressioni biologiche innaturali. Piante mai viste si arrampicavano sugli scogli che negli anni precedenti al grande caos climatico che aveva surriscaldato il pianeta, erano parte integrante delle vette più alte della catena Himalaiana.

La navicella atterrò silenziosa in un mondo ridotto al silenzio. Il capitano, dopo aver indossato la tuta protettiva, si apprestava a scendere rincorso da molti sentimenti contrastanti. Sentiva il peso di una missione costata moltissime risorse a tutte le popolazioni della galassia, sentiva un vago senso di rimorso per la scelta che i suoi antenati avevano compiuto migliaia di anni prima a scapito di quel novanta per cento della popolazione che fu costretta a rimanere su un pianeta che stava collassando. Sentiva cose che dall’alto dei suoi due metri e mezzo di altezza non capiva, perché quello che provava, proveniva dal sangue dei suoi avi ormai estinti.

Il capitano scese, la faccia assolutamente scura e priva di fisionomia scrutò insoddisfatta il terreno davanti a sé. I suoi piccoli occhi misero a fuoco un deserto costellato da piante sconosciute che subodoravano una presenza estranea nel loro territorio. Il corpo glabro rifletteva i raggi di un Sole che stava lentamente fagocitando con il suo calore, ciò che milioni di anni prima aveva creato.

Posò a terra un piccolo marchingegno elettronico dalla forma oblunga. Dalla cavità superiore uscì l’ologramma di una bandiera raffigurante due stelle gemelle di diverso colore che sembravano abbracciarsi con i loro campi gravitazionali. Sulla parte destra della bandiera, in alto, una stella a cinque punte, volutamente artificiosa nel suo disegno, indicava l’origine della loro specie: quel vecchio e ormai morto pianeta chiamato Terra.

L’esile capitano salutò la bandiera con un gesto militare. Diede un ultimo sguardo verso ovest, dove l’orizzonte si perdeva nei riflessi dell’oceano, e un attimo prima di imbarcarsi sulla navicella, dall’oceano emerse uno strano essere dall’aria umanoide. La sua pelle era bianca, squamosa, sotto le braccia due ampie membrane verdognole gocciolavano creando mille piccoli rivoli di acqua. Teneva la testa ben eretta, i piedi palmati artigliavano saldamente una roccia scivolosa ricoperta di muco biancastro. Il capitano lo osservò attentamente, lo riconobbe. I due si studiarono senza muoversi minimamente. Rimasero a fissarsi a lungo, finché il capitano, premendo un piccolo sensore posto sulla fibbia della sua cintura, attivò il raggio trasportatore che lo ricondusse a bordo della navicella.

Il pianeta Terra e’ privo di forme organiche intelligenti, presenta condizioni climatiche e atmosferiche inadeguate ad ogni forma di vita pluricellulare. Missione fallita.


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