lunedì 29 dicembre 2008

Scritti con il sangue: racconti di Cravenroad7.it

Questo Ebook è nato dal primo concorso letterario indetto dal sito www.cravenroad7.it.
Non ho intenzione di segnalare i tanti Ebook pubblicati in rete. A questo ci tengo per il semplice motivo che il sito che l'ha indetto, dedicato a Dylan Dog, è mio e il concorso è stata una mia idea.
Nonostante avessi dubbi ha avuto un discreto successo tra i forumisti. Il tema era "Il sangue".
Questo concorso ha avuto un vincitore (votato dai forumisti stessi): Marco Nucci. Il suo "La cura del sangue" ha messo d'accordo tutti i lettori.
Dei racconti inviati è stato pubblicato un Ebook gratuito in formato PDF e una versione su carta stampata a prezzo di costo tramite il servizio print on demand di Lulu.com.
Se volete potete leggere il PDF e\o acquistare il libro al seguente indirizzo:
http://www.lulu.com/content/4840214

giovedì 25 dicembre 2008

Della fenice e del nome di questo blog

Non credo di aver mai descritto una scena di buio totale come l'esercizio del libro Lezioni di scrittura della Gotham Writers Workshop richiedeva. Credo però che la scena che incollerò di seguito ci vada vicino.
Tratta dal diciannovesimo capitolo del mio libro inedito per ragazzi dal titolo (provvisorio) "La fenice che danzava nei sogni", questa scena si svolge all'interno del maniero di un importante alchimista. I sei protagonisti vi entrano senza volerlo.
Forse tornerò a parlare di questo romanzo perché è stato un importante punto di svolta nel mio modo di scrivere.
Se la vostra domanda è: "Hai provato a pubblicarlo?" la risposta è "Sì ,ovvio, mica sto sei mesi a scrivere un romanzo di 110.000 parole e altri sei mesi a revisionarlo e ridurlo a 85.000 per la gloria!". Credo di averlo mandato a quattro o cinque case editrici. Dopo sei mesi ho avuto la sola risposta negativa dell' Età dell'aquario che mi ha fatto gentilmente sapere che non fa per loro. Magari me lo facessero sapere anche le altre. Mica mi offendo!
In ogni modo, dopo sei mesi, non ho avuto altre risposte quindi deduco che le case editrici:
1- Non hanno ricevuto il pacco.
2- Lo hanno ricevuto e non l'hanno letto.
3- L'hanno ricevuto, letto e scartato.
4- L'hanno utilizzato come esempio dello spreco di carta e del disboscamento indisciplinato della foresta Amazzonica.

Nella lettera di presentazione lo descrivo come un romanzo per ragazzi di genere fantasy; un fantasy particolare in cui non ho mai utilizzato il termine magia, ma alchimia; così come non viene mai menzionata nessuna pozione magica, ma soltanto l'Opera Alchemica.
Quindi se un giorno sentirete parlare di Massimiliano, Gabriele, Giordano, Azzurra, Altea e Asia la colpa sarà mia. Nel frattempo leggete questo piccolo estratto.

...
Un secondo dopo il tappeto volò a tutta velocità verso la porta inducendo i suoi passeggeri a urlare per lo spavento. Quando sembrava che dovesse schiantarsi contro di essa, si fece buio. Il posto in cui erano atterrati non era Roma, decisamente, sembrava piuttosto un lungo corridoio sotterraneo. La luce di alcune fiaccole lasciava intravedere poco lontano due armature poste ai lati di una porta. All’interno varie ombre umane facevano silenziosamente la ronda. Pesanti gocce di condensa cadevano da tutte le parti e nel buio i ragazzi tentarono invano di ripararsi la testa. Soltanto allora si accorsero di non essere più sopra il tappeto volante. Max, che durante il viaggio sentì come se qualcosa lo stesse strangolando, capì di non aver più il ciondolo dello scarabeo appeso al collo.

venerdì 19 dicembre 2008

Descrivere con i sensi

Per rendere una descrizione viva è necessario utilizzare i cinque sensi. I dettagli sensoriali sono molto importanti per catapultare il lettore nel libro, estraniarlo dalla quotidianità e renderlo partecipe. Una multimedialità descritta.
Il libro "Lezioni di scrittura" del Gotham Writers Workshop ci suggerisce un esercizio da svolgere per migliorare le nostre doti descrittive. In breve:

Immaginate che il vostro personaggio sia in una grotta, senza luce. Si è perso e tenta di ricongiungersi ai suoi amici. Descrivete questa scena tenendo conto che la vista è molto limitata. Utilizzate gli altri sensi.

Chi vuole può scrivere qualche riga di testo e riportarla come commento. Sarà interessante poi avere uno scambio di idee sul risultato ottenuto.

venerdì 12 dicembre 2008

Nato di donna

Nato di Donna è un urban fantasy. In questo racconto chi possiede la magia viene considerato "reietto", un emarginato.
Credo che ciò che ho scritto si discosti un po' da alcuni cliché e dalla facile caratterizzazione noir o decadente che l'ambientazione suggeriva. Anzi, la prima cosa che mi è venuta in mente era di farne una commedia, e forse "Nato di donna" si avvicina molto di più a questo genere che ad altri.

Ringrazio chi l'ha letto. Mai come stavolta un mio racconto è piaciuto, e questa per me è una bella vittoria.

Il racconto non è disponibile al download. Chi volesse leggerlo ed eventualmente commentarlo, può scrivermi. Grazie



mercoledì 10 dicembre 2008

Una piccola grande fiera

Più libri, più liberi. Piccoli editori, grandi idee.

Recensire una fiera non è facile soprattutto perché non l'ho vissuta come avrebbe dovuto essere vissuta. Andarci un solo giorno per quattro ore non è sufficiente. Basta appena per spulciare le bancarelle.
In ogni modo mi è sembrata una fiera molto ricca. C'erano tante case editrici e soprattutto tanti sconti di cui approfittare. Qualcuno faceva soltanto il 10% , molti il 20%, altri anche di più. In ogni modo il prezzo del biglietto può essere facilmente ammortizzato.
Anche sul prezzo di ingresso c'erano molte agevolazioni: per gli operatori professionali l'ingresso era gratuito (bibliotecari, editori, librai, scrittori, ecc...); c'erano sconti per chi arrivava in autobus (era presente anche una navetta gratuita comunque). Ingresso gratuito anche per bambini, anziani e studenti (ma solo il venerdì). Gli altri hanno pagato soltanto sei euro, però ne è valsa la pena.

Molto variegate le specie di editori che si trovano all'interno: dagli intellettuali in giacca e cravatta a quelli che vendono libri come se fosse pesce, incartandolo in fogli di giornale (due punti edizioni).
Molti di essi sono perlopiù sconosciuti al grande pubblico. Poco presenti gli editori per l'infanzia.

Più libri, più liberi è una fiera da coltivare e frequentare. Una delle poche buone cose che la città di Roma è riuscita a portare avanti in questi ultimi anni.

sabato 6 dicembre 2008

Italians: l'E-book è online

E' online sul sito del Corriere della Sera e sul sito di Beppe Severgnini l'E-book di "Italians: una giornata del mondo", concorso in cui con un brevissimo racconto di 2000 caratteri si doveva descrivere un'ora della giornata.
Il mio racconto è il secondo classificato delle ore 11: "L'ora in cui mi sveglio", già pubblicato in questo blog.
per scaricarlo
E-Book: Italians, una giornata nel mondo

martedì 2 dicembre 2008

Le tre cose che dovrebbe fare una casa editrice

Prima di firmare un contratto dovete tenere ben presente le tre cose che una casa editrice di solito fa prima e dopo la pubblicazione di un manoscritto.


1 – Editing
L'editing è la prima fase che porta alla pubblicazione del libro. In poche parole si tratta di rileggere insieme all'editor il manoscritto e sistemare le cose che non vanno bene. Di solito ce ne sono molte, alcune delle quali forse non indispensabili e forse vi faranno storcere il naso. Beh, armatevi di umiltà e pazienza e concedete all'editor spazio sufficiente per rendere il vostro romanzo soddisfacente per la casa editrice.


2- Distribuzione
La distribuzione nelle librerie è fondamentale se volete vendere qualche copia del vostro libro. La casa editrice deve avere questo servizio altrimenti i libri stampati marciranno nei loro magazzini fin quando non verranno messi al macero.

3- Pubblicità
Questo è il settore in cui una casa editrice, anche grande, investe meno (ultimamente anche l'editing è un po' trascurato mi pare). Nella maggior parte dei casi dovrà essere lo scrittore stesso a procurarsi inviti per presentazioni e conferenze. Non date nulla per scontato quindi.

giovedì 27 novembre 2008

Più libri più liberi

A Roma (dal 5 all'8 dicembre) ci sarà una bella e interessante fiera dedicata alla piccola editoria: Più libri, più liberi.
E' molto ricca di eventi culturali, incontri e di stand di piccoli editori. Ci sono stato una sola volta e devo dire che, pur essendo standista, ho avuto il piacere di visitarla bene e conoscere realtà editoriali che purtroppo non sono facili da scovare.
L'ingresso è di sei euro. Gli operatori nel campo dell'editoria e dei libri (editori, scrittori, giornalisti, bibliotecari, comici di zelig, ecc...) potranno ottenere un accredito per entrare gratuitamente.
L'indirizzo è il seguente:
http://www.piulibripiuliberi.it/


sabato 22 novembre 2008

Dalla parte degli autori

Un post scritto sul blog http://31ottobre.blogspot.com/ riguardante una risposta di Umberto Eco ad uno scrittore in erba che gli aveva chiesto di leggere un manoscritto, mi ha fatto pensare una cosa: che nessuno si mette dalla parte degli autori, di quei ragazzi, ragazze, uomini e donne che impiegano mesi per scrivere un romanzo e che lo spediscono con la consapevolezza che non avranno mai risposta. Non parlo di quelli che non sanno cos'è una d eufonica, che finiscono di scrivere alle dieci di sera e alle dieci e cinque hanno stampato e impacchettato tutto, parlo di chi conosce le regole basi del buon rapporto con un editore, quelle regole implicite che dobbiamo rispettare per essere presi in considerazione: scrivere una buona lettera di presentazione, correggere e rileggere il proprio scritto, farlo leggere per avere altri giudizi, ecc..
Nonostante questo una risposta non ci è dovuta.
Per questo ho deciso di scrivere la seguente lettera aperta agli editori.



Cari editori,
non sto scrivendo per elemosinare una pubblicazione. So benissimo che se anche dovesse succedere un tale nefasto evento, dovrei comunque partecipare a tutti i concorsi statali e trovarmi un vero lavoro se voglio tirare avanti.
Vi scrivo per elemosinare una risposta.
Non sono tra chi pensa che il proprio manoscritto sia un capolavoro, i Promessi Sposi del ventunesimo secolo; non sono, ahimè, il Gadda che state aspettando. Sono soltanto una persona umile e, credo, abbastanza seria quando scrive.
Per questo motivo non vi chiedo di pubblicarmi, chiedo semplicemente una risposta, che sia positiva o negativa. Spedire un manoscritto è diventato una spesa quasi insostenibile. Ci vogliono circa dieci euro per stampare un manoscritto di centocinquanta pagine e altri cinque per l'imballo e la spedizione per un totale di quindici euro. Siete tante, care case editrici, se dovessi mandare a tutte un manoscritto del genere dovrei vendere un rene. E purtroppo ne ho soltanto due.
Potrei considerare quei quindici euro un investimento se fossi sicuro che il plico arriva a destinazione. Non faccio qualunquismo, però siamo in Italia e le Poste risentono di quegli alti e bassi che ogni attività poco sorvegliata ha. Cosa chiedo? Un'email. Tutti nella loro lettera di presentazione specificano un indirizzo email. Copiare e incollare quell'indirizzo e rispondere “No grazie non ci interessa” è questione di secondi. Si possono spedire anche cinquanta email alla volta. Non è un investimento importante in termini di soldi e tempo e credo che, in fondo, ci sia dovuto. Se poi qualcuno se la prende, beh, ignoratelo, non merita altra attenzione e non merita che a causa sua venga a mancare quel piccolo gesto che molti autori aspettano trepidanti.

martedì 18 novembre 2008

Consigli utili

Alcuni link da leggere. Tre articoli sulla scrittura e sull'editoria di Marina Lenti.

Prendendo come esempio J.K.Rowling, l'autrice della saga di Harry Potter, Marina Lenti ha scritto tre interessantissimi articoli sul mondo dei libri visto dal punto di vista dell'editore e del suo rapporto con lo scrittore esordiente.
A chi vuole cavalcare una Nimbus 2000 e allo stesso tempo tenere un piede ben saldo in terra, consiglio un'attenta lettura.


Prima parte

Seconda parte
Terza parte

giovedì 6 novembre 2008

L'ora in cui mi sveglio

Racconto scritto per il concorso "Italians, italiani nel mondo" indetto da Beppe Severgnini e il Corriere della Sera.
Il racconto è stato pubblicato a questo indirizzo:
http://www.corriere.it/solferino/severgnini/italians_10anni/11/ora-cui-mi-sveglio_5522.shtml

Il file lo potete scaricare al seguente link
L'ora in cui mi sveglio



L'ora in cui mi sveglio è solitamente la mia preferita.
Apro gli occhi, guardo la sveglia digitale sul comodino e mi accorgo che sono di nuovo le undici. Sospiro contento di non essere rientrato nella statistica di quelli che muoiono nel sonno senza motivo (non che ci sia un motivo valido per morire nel sonno, né per morire in generale). Mio padre ha lasciato del caffè in cucina. E' freddo e decido di scaldarlo. Il caffè per essere buono deve essere bollente, devo soffrire nel berlo. Voglio soffrire nel berlo. Una persona che si sveglia alle undici di mattina merita di soffrire in qualche modo.
Il telefono non squilla quindi niente lavoro. Accendo il PC. Nessuna email importante, soltanto un paio di tizi che vogliono allungare il mio pene e una banca che si ostina a chiedere i miei dati personali per motivi di sicurezza. Ad avercelo un conto in banca.
Ho del tempo da ammazzare prima del pranzo. Sento già un pungente odore di fritto. E' fastidioso a quest'ora. Mi sono appena alzato, diamine!
Mi viene in mente che ho trascurato la mia ricerca. Vado su Google e cerco la parola “Molise”. Guardo la lista dei risultati sconcertato. Sono migliaia, c'è anche una mappa. Eppure sono convinto che il Molise non esista, se lo sono inventati quelli del governo, le organizzazioni segrete, il Vaticano e a quanto pare anche Google c'è dentro. Avete mai conosciuto qualcuno del Molise? Io no, mai. Il Molise dunque non esiste.
Torno a sedere sulla sedia girevole e mi stiracchio. Decido di vedere una puntata di 24.
Quello che segue avviene tra le undici e le dodici. Una serie di esplosioni. Jack Bauer cattura un terrorista. Vuole sapere come disattivare la bomba atomica. Non glielo dice mica: è uno di quei fondamentalisti addestrati a morire. Il countdown termina. Kiefer Sutherland lo guarda sbigottito e gli chiede dov'è esplosa la bomba. Il terrorista risponde “Nel Molise”. Mio padre chiama: è mezzogiorno ed è ora di pranzo. Vado a tavola stremato. E' stata un'ora molto intensa.


martedì 27 maggio 2008

Il bambino di ghiaccio

Questa è una fiaba breve che scrissi dodici anni fa a cui ne seguiranno altre. Metterò online anche racconti per bambini e ragazzi: il tipo di letteratura che preferisco.

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A volte un bimbo nasce sfortunato, e il suo unico destino è quello di non avere un destino.
Capita a volte, ed ogni volta il sole rimane ad osservarne la storia, pallido e impotente. Proprio lui, il più grande di tutti, l’eletto tra tutte le stelle che con il suo fulgore ravviva le giornate di ogni creatura del nostro pianeta, quelle volte vorrebbe nascondersi nel buio della notte per piangere tremante nel suo angolo di latte e chiedere scusa per una colpa che non è sua, ma soltanto della sfortuna.
Così pianse anche per quel bambino nato durante il giorno più caldo dell’anno e forse del secolo. Nacque dando la morte a sua madre che lo custodiva in grembo con affetto.
Morirò, ma lui vivrà per me, ripeteva sempre. Sapeva di dover morire, ma ciò non la rattristava: chi almeno una volta si è posto il problema di definire il destino, sa che morire dando alla luce un figlio è una gran bella cosa.
Nacque il giorno più caldo del secolo e forse di tutto il millennio.
Lui, proprio lui che era stato destinato ad essere trasparente come il ghiaccio, freddo come il ghiaccio, anzi, tutti nel mondo ne parlarono perché non si era mai verificato che nascesse un bambino tutto di ghiaccio e di brina.
Non che il suo cuore fosse di ghiaccio, il suo cuore era rosso come il corallo e pulsava timidamente nel petto. Ero rosso per la gioia di vivere e caldo per l’amore di sua madre, il cui unico desiderio era di sentirlo battere come un orologio, tic tac, tic tac. E ad ogni battito sul viso di suo figlio sarebbe apparso un sorriso che lei ogni volta avrebbe ricambiato.
Ma né lei né nessun altro vide sorridere quel gracile bambino di appena un chilo di peso che sembrava scolpito nel ghiaccio delle montagne.
Nacque il giorno più caldo del millennio e forse di sempre.
Stentava a muoversi nella piccola cella frigorifera preparata appositamente per lui, piena di strani apparecchi che lo avviluppavano come una farfalla nella crisalide.
Il suo cuore rosso come il corallo e caldo dell’amore che non avrebbe mai profuso, lo sciolse piano piano, fin quando cessò di battere divenendo anch’esso acqua.
Non ebbe un funerale come tutti gli altri: ciò che rimase del bambino fu raccolto nella scodella color pastello in cui avrebbe dovuto mangiare le prime pappe se soltanto il destino avesse voluto.
Fu lasciato evaporare al sole, e lì abbracciò finalmente la mamma che lo stava aspettando.

giovedì 15 maggio 2008

Quella volta in cui ho visto Goldrake volare

Racconto breve dedicato alla prima messa in onda di un cartone animato entrato nella memoria di una generazione in bilico tra passato e presente: si tratta di Atlas Ufo Robot, ovvero Goldrake. Ho scritto questo racconto breve in occasione del trentennale. Inizialmente non aveva un titolo, poi ho deciso per "4 aprile 1974" perché quella è la data in cui tanti bambini videro per la prima il robot guidato da Actarus volare nel cielo del Giappone. Infine ho cambiato idea e gli ho dato un titolo più letterario "Quella volta in cui ho visto Goldrake volare"

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sabato 10 maggio 2008

Appuntamento a tre

Racconto scritto per un concorso indetto dal Corriere della Sera (credo 2002 o 2003). In quell'occasione ho avuto la soddisfazione di vedere il racconto pubblicato, esattamente al seguente link:
Link Corriere.it
In questo racconto viene citato Paul Auster che con la sua "Città di vetro" contenuta nella raccolta "Trilogia di New York" è stato fonte di ispirazione.
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Mi sono sempre chiesto cosa si prova a leggere il proprio nome sulla copertina di un libro. Adesso lo so. In basso, al centro, stampato in corsivo, nero, dietro di esso una macchia gialla che avrebbe dovuto somigliare ad inchiostro rovesciato. Il resto della copertina non aveva alcuna importanza, neanche il titolo. Fu un’epifania, una situazione che credetti di non poter vivere mai. Trascorrevo pomeriggi interi leggendo i nomi degli autori dei libri sistemati nelle rastrelliere, sognando di trovare anche il mio. Baccelli, Borsari, Cellini, Lucchetti (o Lucchetta), Pirandello, Soldati, Salgari, Tommasi…. mai che leggessi Corridori, nemmeno per sbaglio. Magari qualcuno che si chiama Corridoni ad esempio, Marco Corridoni, l’autore di “L’omicidio del diavolo” duecentomila copie vendute. Nemmeno lui e’ riuscito a pubblicare qualcosa poveraccio, probabilmente trascorre le ore libere nelle librerie della sua città come me, cercando il libro di un autore inesistente chiamato Corridori Mirco.

Eppure non suona male. Vorrei l’ultimo libro di Corridori per piacere. Si’, quel tipo che si vede sempre al Costanzo Show. Mica suona male, penso. In ogni modo potrei adottare un nick, una falsa identità con cui pubblicare i miei libri più intimi, autobiografici. Sarei più libero. Abito in un paese davvero piccolo, mi conoscono tutti. Cosa succederebbe se il mio nome fosse stampato sulla copertina di un libro e quel libro fosse venduto nell’unica edicola del paese? Succederebbe un finimondo. Sarei sulla bocca di tutti, bombarderebbero di telefonate mia madre. Per non parlare della gloria postuma che preferirei evitare. Una piazza. Piazza Corridori. No, questo suona decisamente male, non mi piace.

Accarezzavo il mio libro percorrendone i bordi lentamente. Poi toglievo quel po’ di polvere che forse non c’era e tornavo a leggere il mio nome, tutto ad un tratto, come se non lo avessi mai fatto prima.

- Ti piace tanto quel libro? – Chiese una ragazza alle mie spalle

- Certo – risposi senza pensare, poi mi corressi - Cioè, sì, Corridori è un bravo scrittore, davvero

- Io mi chiamo Eleonora –aggiunse entusiasta

- Io Marco - mentii - Marco Corridoni

- Marco Corridoni…che incredibile coincidenza. Il mio nome lascia poco spazio ai fraintendimenti: Eleonora Baldi, non si chiama nessuno come me.

- Io mi chiamo Marco – ribadii accentuando la A - Marco CorridoNi – stavolta accentuai la N, per quanto lo si possa fare.

- Certo, capisco – sorrise - Che ne dici di parlare di CorridoRi- disse allungando la erre, che tra l’altro aveva più moscia del mio coso.

- Magari ti va di mangiare una pizza – aggiunse

Certo, certo che mi andava. Mica è facile rimorchiare in una libreria. Conosco un’ottima pizzeria vicino piazza Barberini, e’ all’aperto, e’ un po’ cara, d’altronde e’ impossibile trovarne una a basso costo da queste parti. Pero’ e’ un posto tranquillo per conoscerci.

La pizzeria era poco distante, una decina di minuti a piedi. Li percorremmo parlando del mio libro. Avrei preferito parlare di altre cose, di calcio per esempio, o di politica. Un argomento che fosse neutro rispetto al mio io.

- Mi piace il suo strano modo di vedere questa città. Roma nei suoi racconti, e’ qualcosa di vivo, intenso, e’ un esperienza che va oltre i sensi…. – spiego’ entusiasta mentre zuccherava il caffè.

Cercai di sembrare interessato. I miei pressanti tentativi di cambiare discorso fallirono per tutta la serata. Il derby, come e’ finito? Tifa Juve. La Ferrari quarta. Scoperto un cadavere a Napoli. L’ultimo film di Tom Cruise. Sangue, calcio, telefilm, io. Il mio libro no, che palle. Ero annoiato, volevo entrare più in confidenza. Parlare di me non è così interessante, parliamo di me invece.

- E’ un’ottima analisi- risposi - Ma credo che scrivere Roma o Milano o Parigi per lui sia la stessa cosa. Potrebbe benissimo ambientare i suoi racconti in qualsiasi parte del globo e non credo che perderebbero di significato.

- Certamente, e’ uno spirito cosmopolita. – aggiunse asciugandosi le labbra

- Sì…il conto grazie, offro io naturalmente- Lei rifiutò confusa, non mi sorpresi.

Ci alzammo, controllai il portafoglio e osservai di sottecchi il suo sguardo imbarazzato: stava per dirmi qualcosa. Aspettai che Eleonora Boldi…Boldi ha detto? Come il comico? …mi scaricasse: probabilmente l’avevo annoiata con le mie osservazioni su Corridori. E nell’impazienza di sciorinare le sue idee, non si è nemmeno accorta che in varie occasioni le ho parlato dello scrittore utilizzando la prima persona. La situazione mi parve chiara: non sono stato all’altezza delle sue aspettative. Voleva mollarmi.

- E’ stata una magnifica cena – disse - Spero che ci sia un’altra possibilità per conoscerci meglio.

- Certo, lo spero anch’io – aggiunsi sarcastico. Non avevo nessuna intenzione di farmi scaricare in quel modo. Decisi di giocare il mio asso nella manica.

- Credo di avere il suo numero di telefono

- Come?

- Ho il numero di telefono di Corridori – ripetei

- Non ci credo

- L’anno scorso mandò un curriculum presso la società per cui lavoro. Me ne parlo’ una volta il mio capo, a pranzo, il pomeriggio stesso controllai l’archivio e lo trovai. Con tanto di numero di telefono. Lo vuoi? – chiesi

- C..certo.. – balbettò

- Bene, adesso non lo ricordo, te lo mando non appena arrivo a casa.

- G…g..grazie

Il telefono squillò una volta, la seconda, stavo buttando giù il soggetto per un nuovo racconto. Squillò ancora, nessuno rispondeva. Toccò a me.

- Pronto? –

- Pronto…sto cercando Mirco Corridori…

Riconobbi la voce, la erre moscia spalmata su un leggero accento calabrese.

- Sono io… - risposi distratto dal pensiero di aver già letto qualcosa del genere.

- Salve, lei non mi conosce, mi chiamo Eleonora Baldi, studio lettere a Roma, mi dispiace disturbarla, a quest’ora poi…

- …Devo decidere l’argomento di una mia ricerca, se lei e’ disposto, vorrei parlare del suo libro. E’ molto bello…

- Beh – dissi chiedendomi se la mia voce al telefono fosse diversa

- Come posso aiutarti? - chiesi

- Possiamo incontrarci e parlarne. Domani, a cena. Offro io, è mio ospite.

Me lo aspettavo, che gioco strano avevo iniziato. A questo punto avrei dovuto declinare l’invito, non avevo scelta, come avrei potuto fare altrimenti? Ma per qualche strano motivo, dalla mia bocca uscì un reciso sì che non soltanto sconvolse la mia interlocutrice, ma sconvolse anche me.

Rimasi appeso al cartellone pubblicitario per una buona mezz’ora. Non che mi fossi impiccato, non ancora, ma la situazione in cui mi ero cacciato mi stava recando una sensazione di panico che credevo di non poter gestire. Allora mi sedetti su un muretto, dalla parte opposta del ristorante e mi appesi con le mani alla sbarra metallica del cartellone che pubblicizzava una marca di reggiseni. Eleonora sedeva al primo tavolo a sinistra dell’entrata del ristorante. La intravidi dalla finestra mentre fumava nervosamente. Passai lì due o tre volte, alla quarta un cameriere mi squadrò minaccioso. Che cosa avrei dovuto fare a questo punto? Prima soluzione: tornare a casa, aspettare una sua chiamata e scusarmi, un impegno improvviso avrei detto. Seconda: entrare nel ristorante e dirle che il numero che le avevo dato era il mio, cioè di Marco Corridoni, non di Mirco Corridori. Lei si sarebbe incazzata e se ne sarebbe andata via. Terza soluzione, forse la migliore: entrare e raccontarle la verità: io sono Mirco Corridori. Lei mi avrebbe perdonato e si sarebbe convinta che facevo bene a non dire agli sconosciuti chi fossi in realtà, con tutti quei matti che girano per le strade di Roma.

Entrai, deciso a scusarmi con Eleonora Beldì…Beldì credo…come il regista televisivo. Entrai dunque, con passo sicuro, scavalcando il cameriere che fino a qualche minuto prima mi aveva visto ciondolare sotto le enormi tette della modella. Sapevo già dov’era seduta, e con passo sicuro, svelto, mi avvicinai a lei, e prima di lasciarmi dire qualcosa urlò:

- Mirco….lei è Corridori Mirco…non credevo che sarebbe venuto sul serio! Piacere di conoscerla…

Rimasi in silenzio, per un attimo credetti che fosse una candid camera. Avete presente quando vi capita qualcosa di imbarazzante e vorreste che fosse tutta una messinscena della tv? Ecco, mi sarebbe piaciuto che fosse davvero così, che da dietro un separé uscisse fuori il presentatore e mi dicesse “sorridi, sei su candid camera”. Invece non fu così, Eleonora continuò a chiamarmi Mirco, a dirmi che trovava entusiasmante il mio libro, che avrei dovuto vincere il nobel. Mentre ritto davanti a lei, con le dita che si arrotolavano come spaghi, avrei voluto dirle che non mi chiamavo Mirco, ma Marco, Marco Corridoni. Poi pensai davvero di chiamarmi in quell’assurdo modo: Mirco Corridori. Uno con un nome del genere non può scrivere libri. Assolutamente. Forse una raccolta di barzellette sconce, ma non libri seri.

Trascorsi una serata nebbiosa, bevendo coca cola e mangiando qualcosa che somigliava a della pizza. Parlammo sempre del libro e di Corridori, quello stronzo che mi aveva soffiato la ragazza. Ci separammo verso la mezzanotte. Eleonora Belli….sì… Belli…come il famoso poeta, mi diede un sonoro bacio sulle labbra, poi si scusò dell’audacia e sussurrò che le donne del sud possono essere molto focose quando vogliono. Non capii, ero ancora stordito, pensavo soltanto al capostazione che di lì a dieci minuti avrebbe fischiato la partenza del treno. Ero in ritardo.

Salii sul treno correndo. Mi sedetti e ripresi fiato poco alla volta. Contai le stelle della stazione Termini, arrivai a quattro poi scomparvero tutte assieme lasciando una scia azzurrognola. I vagoni erano vuoti, una luce baluginava alle mie spalle istericamente. Sul sedile davanti a me lessi “Viva gli africani. Sara ‘85”.

Durante il viaggio di ritorno dondolai tra la veglia e il sonno coccolato dalla cadenza del treno. Riuscii a stare sveglio. A riflettere. Sentivo dentro di me una sensazione di vuoto difficile da definire, qualcosa che mi portavo dietro da molto tempo.


giovedì 8 maggio 2008

L'altro

Racconto di fantascienza scritto nel lontano 2001 per un concorso indetto da una rivista ormai defunta: MC Microcomputer. Non vinsi e non fu pubblicata. La pubblicai tempo dopo sul sito www.cravenroad7.it
Ispirata a "Sentinella" di Fredric Brown, "L'altro" è una variante del tema: e se gli alieni fossimo noi?
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La navicella viaggiò per svariate unità di tempo percorrendo 2.5 parsec. Attraversò incolume galassie, nebulose, qualche raro incontro con meteoriti in fuga dal nulla avevano costretto il suo pilota, nonché unico passeggero, a difendersi con le armi laser.
Al di fuori di essa le stelle strisciavano come serpenti, incrociavano la piccola Imbarcazione Stellare Marina, così fu battezzata dal suo capitano, proiettando i fulgori di una vita persa e forse estinta da migliaia di anni.

Quando attraversò la fascia di meteoriti che separa Marte e Giove, si sentiva già odore di mare. Il ritorno sul pianeta di origine era atteso da tutti i duecentocinquanta miliardi di persone sparse per tutta la galassia, con ansia, era un evento paragonabile allo sbarco lunare del primitivo Armstrong ventimila anni prima.

L’Imbarcazione Stellare Marina si fermò a dieci chilometri dal suolo terrestre. Lo schermo proiettava un enorme distesa d’acqua che nel corso degli anni aveva fagocitato la terra emersa riducendola a poche migliaia di chilometri quadrati.

I computer iniziarono ad elaborare i dati. L’atmosfera presentava notevoli quantità di anidride carbonica, poteva considerarsi ormai irrespirabile per L’homo sapiens sapiens. La temperatura arrivava a picchi di ottanta gradi nella fascia equatoriale e si riduceva a venti, forse trenta, nelle zone artiche. La scarsa vegetazione presentava delle espressioni biologiche innaturali. Piante mai viste si arrampicavano sugli scogli che negli anni precedenti al grande caos climatico che aveva surriscaldato il pianeta, erano parte integrante delle vette più alte della catena Himalaiana.

La navicella atterrò silenziosa in un mondo ridotto al silenzio. Il capitano, dopo aver indossato la tuta protettiva, si apprestava a scendere rincorso da molti sentimenti contrastanti. Sentiva il peso di una missione costata moltissime risorse a tutte le popolazioni della galassia, sentiva un vago senso di rimorso per la scelta che i suoi antenati avevano compiuto migliaia di anni prima a scapito di quel novanta per cento della popolazione che fu costretta a rimanere su un pianeta che stava collassando. Sentiva cose che dall’alto dei suoi due metri e mezzo di altezza non capiva, perché quello che provava, proveniva dal sangue dei suoi avi ormai estinti.

Il capitano scese, la faccia assolutamente scura e priva di fisionomia scrutò insoddisfatta il terreno davanti a sé. I suoi piccoli occhi misero a fuoco un deserto costellato da piante sconosciute che subodoravano una presenza estranea nel loro territorio. Il corpo glabro rifletteva i raggi di un Sole che stava lentamente fagocitando con il suo calore, ciò che milioni di anni prima aveva creato.

Posò a terra un piccolo marchingegno elettronico dalla forma oblunga. Dalla cavità superiore uscì l’ologramma di una bandiera raffigurante due stelle gemelle di diverso colore che sembravano abbracciarsi con i loro campi gravitazionali. Sulla parte destra della bandiera, in alto, una stella a cinque punte, volutamente artificiosa nel suo disegno, indicava l’origine della loro specie: quel vecchio e ormai morto pianeta chiamato Terra.

L’esile capitano salutò la bandiera con un gesto militare. Diede un ultimo sguardo verso ovest, dove l’orizzonte si perdeva nei riflessi dell’oceano, e un attimo prima di imbarcarsi sulla navicella, dall’oceano emerse uno strano essere dall’aria umanoide. La sua pelle era bianca, squamosa, sotto le braccia due ampie membrane verdognole gocciolavano creando mille piccoli rivoli di acqua. Teneva la testa ben eretta, i piedi palmati artigliavano saldamente una roccia scivolosa ricoperta di muco biancastro. Il capitano lo osservò attentamente, lo riconobbe. I due si studiarono senza muoversi minimamente. Rimasero a fissarsi a lungo, finché il capitano, premendo un piccolo sensore posto sulla fibbia della sua cintura, attivò il raggio trasportatore che lo ricondusse a bordo della navicella.

Il pianeta Terra e’ privo di forme organiche intelligenti, presenta condizioni climatiche e atmosferiche inadeguate ad ogni forma di vita pluricellulare. Missione fallita.